domenica 22 maggio 2022

Milan Kundera un Occidente prigioniero




RISVOLTO

Nel giugno del 1967, poco dopo la lettera aperta di Solženicyn sulla censura nell’Urss, si tiene in Ceco­slovacchia il IV Congresso dell’Unione degli scritto­ri. Un congresso diverso da tutti i precedenti – me­morabile. Ad aprire i lavori, con un discorso di un’audacia limpida e pacata, è Milan Kundera, allo­ra già autore di successo. Se si guarda al destino della giovane nazione ceca, e più in generale delle «piccole nazioni», appare evidente – dichiara Kundera – che la sopravvivenza di un popolo dipende dalla forza dei suoi valori culturali. Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei «vandali», gli ideologi del regime. La rottura fra scrittori e potere è consumata, e la Primavera di Praga confermerà sino a che punto la rinascita delle arti, della letteratura, del cinema a­vesse accelerato il disfacimento della struttura poli­tica. A questo discorso, che segna un’epoca, si ricol­lega un intervento del 1983, destinato a «rimodella­re la mappa mentale dell’Europa» prima del 1989. Con una veemenza che il nitore argomentativo non riesce a occultare, Kundera accusa l’Occidente di ave­re assistito inerte alla sparizione del suo estremo lem­bo, essenziale crogiolo culturale. Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, che all’Europa appartengono a tut­ti gli effetti, e che fra il 1956 e il 1970 hanno dato vita a grandiose rivolte, sorrette dal «connubio di cultura e vita, creazione e popolo», non sono infatti agli oc­chi dell’Occidente che una parte del blocco sovieti­co. Una «visione centroeuropea del mondo», quella qui proposta, che oggi appare ancora più preziosa e illuminante.

Premesse di Jacques Rupnik e Pierre Nora.
Traduzione di Giorgio Pinotti.

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Con premesse di Jacques Rupnik e Pierre Nora, dal libro viene fuori una "visione centroeuropea del mondo" che oggi appare ancora più preziosa e illuminante.
    E dal 12 maggio, per la prima volta, Adelphi rende disponibili in ebook tutti i titoli di Kundera del catalogo, 17 in totale.
    Nel libro - che sarà presentato l'11 maggio alle 18.30, in anteprima alla Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano e il 14 maggio alle 11.30 al festival vicino/lontano a Udine, dove sarà presente Jacques Rupnik - sono raccolti due discorsi di Kundera: 'La letteratura e le piccole nazioni' del 1967, presentato con la premessa di Rupnik e 'Un occidente prigioniero o la tragedia dell'Europa centrale' del 1983, con la premessa di Nora. Nel giugno del 1967, poco dopo la lettera aperta di Solženicyn sulla censura nell'Urss, si tiene in Cecoslovacchia il IV Congresso dell'Unione degli scrittori. Ad aprire i lavori, con un discorso di un'audacia limpida e pacata, è Milan Kundera, allora già autore di successo. "Se si guarda al destino della giovane nazione ceca, e più in generale delle 'piccole nazioni', appare evidente - dichiara Kundera - che la sopravvivenza di un popolo dipende dalla forza dei suoi valori culturali. Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei 'vandali', gli ideologi del regime". La rottura fra scrittori e potere è consumata e lo confermerà la Primavera di Praga.
    A questo discorso, che segna un'epoca, si ricollega un intervento del 1983, destinato a "rimodellare la mappa mentale dell'Europa" prima del 1989. Con veemenza Kundera accusa l'Occidente di avere assistito inerte alla sparizione del suo estremo lembo. Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, che all'Europa appartengono a tutti gli effetti, e che fra il 1956 e il 1970 hanno dato vita a grandiose rivolte, sorrette dal "connubio di cultura e vita, creazione e popolo", non sono infatti agli occhi dell'Occidente che una parte del blocco sovietico.
    "Nel settembre del 1956, il direttore dell'agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall'artiglieria, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull'offensiva che quel mattino i russi avevano scatenato contro Budapest. Il dispaccio finisce con queste parole: 'Moriremo per l'Ungheria e per l'Europa'" viene ricordato.
    Un Occidente prigioniero è apparso per la prima volta in Francia nel 2021. (ANSA).


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Segnaliamo con piacere questo volumetto di Milan Kundera intitolato “Un Occidente prigioniero” ed edito da Adelphi con premesse di Jacques Rupnik e Pierre Nora (traduzione di Giorgio Pinotti). Il sottotitolo ha una valenza molto significativa: “O la tragedia dell’Europa centrale”.
«Ci sono congressi di scrittori più importanti, o comunque più memorabili, dei congressi del Partito», scrive Jacques Rupnik nella sua premessa. «Questi ultimi, nella Cecoslovacchia comunista, si susseguivano tutti uguali, mentre i congressi di scrittori potevano essere imprevedibili e talvolta forieri di radicali cambiamenti nei rapporti fra il potere e la società.
Ci sono poi discorsi congressuali che segnano un’epoca e che, riletti oggi, mantengono intatto tutto il loro signicato. Subito pensiamo a quello contro la censura pronunciato a Mosca, nel maggio 1967, da Solženicyn, e alla bella canzone di Guy Béart che ha ispirato: « Il poeta ha detto la verità, deve essere giustiziato »… Meno noti sono i sorprendenti discorsi tenuti a Praga, un mese dopo, al Congresso degli scrittori, a cominciare da quello di Milan Kundera.
All’epoca Milan Kundera è uno scrittore di successo, grazie alla pièce Majitelé klíÉu˚ (I proprietari delle chiavi, 1962), ai racconti Amori ridicoli (1963 e 1965) e soprattutto al romanzo Lo scherzo, del 1967 (e dunque coevo al Congresso degli scrittori), che raffigura e chiude un’epoca – e resta associato, per i lettori cechi ma non solo, alla primavera del 1968».
Siamo dunque nel giugno del 1967, poco dopo la lettera aperta di Solženicyn sulla censura nell’Urss; e in Ceco­slovacchia si tiene il IV Congresso dell’Unione degli scritto­ri. Un congresso diverso da tutti i precedenti – me­morabile. Ad aprire i lavori, con un discorso di un’audacia limpida e pacata, è Milan Kundera, allo­ra già autore di successo. Se si guarda al destino della giovane nazione ceca, e più in generale delle «piccole nazioni», appare evidente – dichiara Kundera – che la sopravvivenza di un popolo dipende dalla forza dei suoi valori culturali. Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei «vandali», gli ideologi del regime. La rottura fra scrittori e potere è consumata, e la Primavera di Praga confermerà sino a che punto la rinascita delle arti, della letteratura, del cinema a­vesse accelerato il disfacimento della struttura poli­tica. A questo discorso, che segna un’epoca, si ricol­lega un intervento del 1983, destinato a «rimodella­re la mappa mentale dell’Europa» prima del 1989. Con una veemenza che il nitore argomentativo non riesce a occultare, Kundera accusa l’Occidente di ave­re assistito inerte alla sparizione del suo estremo lem­bo, essenziale crogiolo culturale. Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, che all’Europa appartengono a tut­ti gli effetti, e che fra il 1956 e il 1970 hanno dato vita a grandiose rivolte, sorrette dal «connubio di cultura e vita, creazione e popolo», non sono infatti agli oc­chi dell’Occidente che una parte del blocco sovieti­co. Una «visione centroeuropea del mondo», quella qui proposta, che oggi appare ancora più preziosa e illuminante


https://letteratitudinenews.wordpress.com/2022/05/16/un-occidente-prigioniero-di-milan-kundera-adelphi/


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Adelphi manda in libreria in questi giorni L’Occidente prigioniero, due testi inediti e profetici scritti da Kundera nel 1967 e nel 1983 e che ci fa piacere leggere oggi che l’Europa e l’Occidente stanno morendo nel cuore delle persone.

Due scritti illuminanti che alla luce del conflitto russo –ucraino propongono una mappa mentale e culturale dell’Europa.

Nel 1967 Kundera interviene al congresso degli scrittori cecoslovacchi con discorso limpido e preciso in cui la cultura come destino diviene il nucleo di un libero pensiero di cui ha bisogno la sua nazione soggiogata dal comunismo che aveva brutalmente violentato l’amore per l’umanità e imposto con l’ideologia la crudeltà nei confronti degli uomini, l’amore per la verità in delazione.

Kundera sostiene che la libertà del suo popolo dipende dal destino della letteratura ceca.

«La sopravvivenza del nostro popolo è responsabilità che ricade soprattutto sugli scrittori cechi, e ancor oggi, giacché dalla qualità delle letteratura ceca, dalla sua grandezza o angustia, dal suo coraggio o dalla sua viltà, dal suo provincialismo o dalla sua portata universale tale sopravvivenza dipende in larga misura».

Affrancare la cultura dall’influenza del potere, questa è la vera rivoluzione per Kundera che acquisisce una dimensione politica. Una considerazione che aglio occhi degli ideologi censori (che lo scrittore definisce vandali) che viene vista come un’eresia da sopprimere.

L’esistenza della nazione dipende dal progresso della cultura e ha come condizione la libertà da qualsiasi ideologia.

L’Occidente senza cultura è destinato a perire.  È forte l’atto di accusa dello scrittore boemo.

Nel secondo testo pubblicato nel volume di Adelphi Kundera con veemenza parla delle piccole nazioni dell’Europa centrale e rivendica la loro appartenenza culturale all’Occidente, colpevole di aver assistito inerte alla spartizione del suo estremo lembo e di non aver considerato la sua identità culturale.

Per Kundera l’Europa centrale non è uno Stato, ma una cultura e un destino.

Davanti all’imperialismo russo, le rivolte centroeuropee furono sorrette da un «connubio di cultura e vita, creazione e popolo».

Il senso profondo della loro resistenza, scrive Kundera, è la difesa di un’identità; o, in altre parole, la difesa della loro occidentalità.

Kundera denuncia l’Occidente prigioniero della sua miopia e scrive nel 1983 che l’Europa centrale deve opporsi alla forza schiacciante del suo grande vicino e insieme anche alla forza immateriale del tempo che lascia irrimediabilmente dietro di sé l’Europa della cultura, l’Europa come valore.

Quel 1983 e le analisi profetiche di Kundera sono partenti stretti di quello che sta accadendo a Est del mondo europeo in questo tragico 2022.

https://www.gliamantideilibri.it/un-occidente-prigioniero-milan-kundera/


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Il pensiero di Kundera ruota con insistenza sul primato della cultura dell'Occidente. E l'opzione occidentale della cultura ceca da Haek a Hrabal e allo stesso Kundera- conferma la sua straordinaria forza per la rinascita della nazione ceca, che ancora nel 1848 veniva contestata perfino da Friedrich Engels, il cofondatore del marxismo. Allora i cechi erano un popolo senza cultura, che doveva appoggiarsi alla lingua culturale tedesca per qualsiasi comunicazione che non fosse di mera quotidianità. Fu un'epopea straordinaria quella che fece risorgere l'identità culturale ceca come dimostra l'opera del primo presidente della repubblica cecoslovacca, Tomá Marasyk che inventò il lessico filosofico ceco. Fenomeni analoghi avvennero nella cultura ungherese, rumena, polacca. Anche per l'Ucraina la letteratura costituì il momento cruciale della riconsacrazione dell'identità nazionale. Ci fu un diffuso riconoscimento popolare per l'azione degli intellettuali tanto che l'importante città di Stanislaw venne rinominata Iwano-Frankiwsk in onore dello scrittore Iwan Franko (1856-1916), assertore dell'identità linguistico e culturale ucraina.


Per le nazioni centro-orientali il pericolo russo coincide(va) con la stessa sopravvivenza. Kundera descrive la strategia dell'imperialismo russo riflettendo sul soffocamento della Primavera di Praga del 68 con i soliti carrarmati (che oggi hanno aggiunto la ferale Z): «Anzitutto venne distrutto il centro dell'opposizione; poi venne minata l'identità della nazione in modo che potesse essere più facilmente fagocitata dalla civiltà russa; infine venne bruscamente interrotta l'epoca dei Tempi moderni, cioè l'epoca in cui la cultura rappresentava ancora la realizzazione dei valori supremi». Quella stagione del socialismo dal volto umano era iniziata nel 1963 con la conferenza su Kafka nel Castello di Liblice con un memorabile intervento di Eduard Goldstücker, che divenne uno dei protagonisti della Primavera accanto a Dubek. Ma fu subito autunno con l'invasione sovietica e dei paesi fratelli. L'Europa Occidentale protestò assai civilmente, sicché si comprende l'amarezza di Kundera. Per lui l'Europa aveva perso se stessa, aveva perso l'audacia spirituale di quei suoi Tempi moderni fondati sull'individuo «che pensa e dubita». E la Russia rimane immutata o quasi.


....quando l'Europa non era «un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente», mentre si assiste alla «perdita irrimediabile» della sua cultura. Quella cultura, che è stata per secoli l'orgoglio dell'Europa, è ora sostituita e non solo da noi- da mediocri talk show televisivi. Una decadenza che Kundera condannava già nel 1983 a Parigi, dove era emigrato, presagendo il progressivo deterioramento intellettuale: «Negli ambienti colti, a cena si discute di trasmissioni televisive e non di riviste. La cultura, infatti ha già ceduto il suo posto. Quella scomparsa, che a Praga vivemmo come una catastrofe, uno choc, una tragedia, viene vissuta a Parigi come qualcosa di banale e insignificante, a stento visibile, come un non-evento».


https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/occidente-prigioniero-propria-ignoranza-e-russia-si-fa-2032892.html

giovedì 19 maggio 2022

La grande arte di invecchiare di Anselm Grün





Descrizione


La nostra società ha bisogno di sviluppare una nuova sensibilità verso la saggezza e il significato della vecchiaia, rivalutata come un bene prezioso. L'uomo invecchia spontaneamente, per legge di natura, ma il "modo" dipende da ogni singolo individuo. È davvero una grande arte quella di invecchiare nella maniera migliore. Un'arte con tutti i suoi segreti, che come ogni altro settore dell'attività umana non giunge a perfezione da sé, ma richiede costante esercizio e applicazione: accettare se stessi, l'esercizio del distacco, il rilassamento, la pazienza, la riconoscenza, l'ansia e la depressione, il silenzio, il superamento di sé, prendere confidenza con l'idea del morire, sono solo alcuni dei temi che il grande maestro, monaco e psicanalista, Anselm Grün svolge in questo libro.


https://web.archive.org/web/20190819061600/http://www.anselm-gruen.de/


PROFILO TEOLOGICO DI ANSELM GRÜN

https://www.queriniana.it/blog/profilo-teologico-di-anselm-grun-271