domenica 23 aprile 2023

Tra i libri di casa. "Il pudore-Un luogo di Libertà" di Monique Selz



In una società come la nostra, in cui l’occhio dell’altro, nelle infinite e multiformi accezioni, è portato ad intrufolarsi ovunque, trovando dall’altra parte altrettanta disponibilità alla esibizione. In una società come la nostra in cui il bisogno di possesso di beni materiali non trova quasi confine con la “fame” di possedere l’altro come oggetto. Il pudore sarebbe proprio una delle garanzie che noi abbiamo di libertà nei confronti dell’ “altro” che con il suo “sguardo” ci forza in continuazione, ci forza ad una difesa. Il pudore allora si dimostra una difesa indispensabile, affatto patologica, della nostra intimità, individualità e sovranità. Il pudore come sentimento contro la trasparenza voluta a tutti i costi, contro il “pubblico” imposto a suon di medialità; il pudore quasi baluardo contro l’illusione della logica imperante del “tutto è possibile”. 


"Dal cogito cartesiano, e poi attraverso differenti tradizioni filosofiche (Kant, Husserl, Scheler, Heidegger, Sartre…) fino alla recente attualità (con Levinas e Ricoeur tra gli altri), abbiamo assistito all’emergere di ciò che può essere definito un luogo proprio a se stessi, quello della intimità, mentre si andava scavando uno spazio di discontinuità tra se stessi e l’altro, che è appunto quello dove noi possiamo pensare che abbia sede il pudore” "L’amore è possibile solo se chi ama e chi è amato sono distinti l’uno dall’altro e dunque separati”. "“Dire che non c’è niente da nascondere, significa immediatamente affermare che qualcosa è nascosto, e tale rimane”."Una comunità umana non può sopravvivere a lungo alla perdita del pudore. Pretendere di farne a meno, significa aprire la strada al ritorno della bestialità"

***
Il pudore, in una società permissiva come la nostra in cui il consumismo è smisurato, sembrerebbe una qualità fuori moda. Oggi la parola d'ordine è sviluppare il mercato, cioè mostrare tutto, per suscitare il desiderio di possedere e acquistare. Ma è umana una società fatta esclusivamente di consumatori e utenti? E non è il pudore uno dei luoghi attraverso cui passa il nostro accesso alla libertà? La riflessione di Monique Selz, radicata nella pratica psicoanalitica, delinea i contorni del pudore e mette in evidenza quanto esso permetta a ciascuno di vivere la propria singolarità all'interno della collettività.

***
Il pudore, sentimento e comportamento insieme, ha a che fare con la vergogna dell’altro, o con la vergogna causata dall’altro. In quanto tale implica e fonda la presenza e la stessa possibilità dell’altro, creando uno spazio riflessivo per l’individuo. Nel secondo capitolo, per esempio, Selz si sofferma a lungo sull’amore, desiderio di annullare le distanze, di fusione, che però vive proprio nel riconoscimento dell’altro come limite. “Dunque il pudore, attestando l’esistenza del corpo sessuato dell’uomo, ma anche delle sue capacità riflessive e di linguaggio, rivela la sua umanità, differenziandolo da tutti gli altri esseri viventi, fra i quali vergogna, pudore e castità sono assenti”. “È chiaro allora che bisogna separarsi per amare, ma non c’è dubbio che bisogna anche essere sufficientemente in grado di perdere se stessi nell’altro – senza però che tale perdita sia totale – per amare e per vivere”.
riflessione integrale in



Il pudore interviene quindi a definire il confine di un luogo che è prerogativa di se stessi, il “proprio” luogo, che è poi il luogo della libertà dal quale parte lo scambio con l’altro nel rapporto d’amore, ma anche il luogo della sana a giusta protezione nei confronti dell’altro: bisogna saper proteggere se stessi per saper e poter proteggere l’altro sostiene la Selz.

Il pudore è dunque il linguaggio del corpo, ma anche il linguaggio che preserva i corpi che si associano e si dividono tra di loro in un moto di continuità; il linguaggio è dire ma anche nascondere (non fare mistero) del proprio essere, e il pudore rappresenta la libertà del linguaggio di muoversi nel mondo delle relazioni.

Conclude la Selz intendendo il pudore come garanzia, non solo garanzia per il singolo per potersi rifugiare nei momenti di difficoltà, ma anche una garanzia collettiva, una garanzia del genere umano che invece è tanto provata e tentata dalla esteriorità, dalla apparenza e dall’eccesso di trasparenza.

riflessione integrale sta in


Se oggi la società non sembra più insegnare il senso del pudore, resta la madre che nell’adolescenza e nell’infanzia può creare, permettere, un sentimento di pudore ai e verso i figli. Il bambino fin da piccolissimo ha un’idea chiara del pudore: bisogna solo rispettare il suo spazio, la sua fisicità, come ad esempio la sua camera. Il rispetto dello spazio consente di far nascere uno spazio psichico. Non entrate in camera senza annunciarvi, bussate. È interessante risalire all’etimologia del termine ‘segreto’, per capire il ruolo del segreto tra due persone e tra questo e il concetto di pudore. ‘Secretum’ è il participio passato del verbo ‘secerno’, separo. Il prefisso ‘se’ indica separazione, mentre il verbo ‘cerno’ significa passare al setaccio, e designa l’operazione di separare il grano buono dalla crusca. Da ‘secerno’ derivano il termine secrezione e segreto. Il foro quindi, il foro del segreto, lascia passare oppure trattiene. La funzione del segreto è essenziale, perché senza il segreto non esisterebbe alcun luogo dell’intimità. 



Anni fa, la psicoanalista Monique Selz prese di mira la “dittatura della trasparenza” che domina le nostre società soggette al panopticon (idea di Bentham in funzione carceraria), ovvero la volontà di controllare l’individuo in ogni istante della sua vita (il Grande Fratello orwelliano ante litteram; e si ricordi che la trasparenza fu un mito totalitario del sovietismo). Una società onesta e sana sa – scrive il filosofo ebreo Shmuel Trigano – che nella vita di ciascuno di noi deve rimanere una sfera di “occultamento” dallo sguardo degli altri, perché «senza un’episodica eclissi, senza battito di palpebre né periodico sonno, qualsiasi presenza è impossibile nel mondo». Ma questo contrasta con la cultura vigente: tutto è merce e il consumo va incentivato.
Addio dunque a vergogna e pudore. Ma le cause non sono solo sessuali, c’è prima di tutto l’invidia: quella, disse Lacan, fra fratellini che aspirano al seno materno. Oggi la grande madre da nutrice si è trasformata in produttrice, mater-tech secondo Erich Fromm, e ci spinge a ostentare noi stessi senza freni né veli per avere notorietà e ricchezza. L’impudicizia come consumo.
(Maurizio Cecchetti giovedì 20 dicembre 2018 -quotdiano Avvenire)

*** 





mercoledì 12 aprile 2023

tra i libri di casa Guido Morselli Roma senza papa Cronache romane di fine secolo ventesimo Adelphi 1974



RISVOLTO
Nella Roma fine-secolo-ventesimo in cui si svolge questo romanzo, città ampiamente dissestata e disfatta, un solo fatto essenziale sembra mutato rispetto alla Roma di oggi: il silenzioso abbandono del Vaticano, non più abitato dal papa, Giovanni XXIV – un irlandese di mezza età, fidanzato, si dice, con una teosofa di Bengalore –, che ha trasferito la Sede Apostolica in una inappariscente Residenza, simile a un complesso di motels, a Zagarolo. È questa la ‘Roma senza papa’ che si mostra a un discreto e percettivo sacerdote svizzero che vi torna dopo anni di assenza, in attesa di essere ricevuto in udienza da Giovanni XXIV: una città offesa per l’oltraggio commesso dal papa contro il turismo, ormai principale attività del Paese, «impigrita, svuotata, con un che di depresso», ma pur sempre una città che continua ad accogliere, con la consueta indifferenza, un instancabile cicaleccio teologico. Negli antri climatizzati della Università Gregoriana, in ampi refettori dalla luce soffusa, in modeste case di parroci, in convegni di seriosa incongruità proliferano e si accavallano come mai prima le teologie, e le nuove tesi vengono spesso pronunciate da sacerdoti che parlano una lingua mista fra il romanesco e lo slang americano. Dalla ‘socialidarietà’ al policentrismo più sfrenato, dalla auspicata introduzione del totemismo nella pratica religiosa a progetti di rigide restaurazioni, tutto può essere invocato e esecrato in questo clima di ormai perfetta confusione delle lingue, dove il protagonista si muove con imbarazzo e con una certa malcelata amarezza, finché la sua perplessità giunge al culmine, e anche a una sorta di liberazione, nella visita alla Residenza del Papa, un essere dolce e un po’ spento, che alleva serpenti, ama il silenzio e vive in una sua ombrosa, elusiva solitudine.
L’acutezza ironica di questa vicenda, la padronanza con cui Morselli si muove nei labirinti delle dottrine, vere e immaginarie, della Chiesa, i magistrali ritratti di ecclesiastici di alto e basso rango, l’incessante invenzione satirica, fanno di questo libro un felicissimo romanzo di ‘anticipazione teologica’, dove le idee hanno la concretezza e il grottesco dei personaggi e dove, a ogni passo, si sente uno sguardo disincantato e penetrante posarsi su un futuro che incontriamo ogni giorno.




Trama
È stato eletto papa un turco di rito Maronita, che ha preso il nome di Libero I. Con l'enciclica Maria, Mater Christi, inaugura una mariologia rinunciataria. Abolisce il celibato ecclesiastico, mantenendo la proibizione per gli anticoncezionali, per cui il prete fedele si riconosce dalla famiglia numerosa. Ciò è solo l'inizio di una stagione di demolizione della tradizione della Chiesa. Il papa lascia Roma e si trasferisce a Zagarolo, alimentando un clima di sospensione e attesa.

Guido Morselli era un ottimo romanziere, ma fu apprezzato solamente dopo il suo suicidio; tuttavia, ignorava le pratiche dei Maroniti, tranne forse l'antichissima origine monotelita, abbondantemente rinnegata, altrimenti non ne avrebbe attribuito ad un loro membro simili iniziative. Sono trascorsi alcuni anni. Il romanzo è presentato sotto forma di diario: il suo protagonista e narratore è un giovane sacerdote svizzero, don Walter, coniugato con una psichiatra, ma attaccato alla talare ed alla Messa celebrata tutta in latino ed iniziando con L'Introibo. Egli e la moglie sono molto devoti alla Madonna: lui è venuto in Italia per consegnare al nuovo papa, un monaco benedettino irlandese che ha preso nome Giovanni XXIV e ama allevare vipere, un saggio scritto da lui e dalla consorte, in difesa dell'Iperdulia (la devozione mariana).

Intanto, in Italia, l'abolizione delle gare sportive, in specie delle partite di calcio, ha provocato lo scoppio della sua prima vera rivoluzione. Amintore Fanfani, divenuto capo del PSU (Partito Socialista Unificando) è il dittatore comunista al potere. Il prete svizzero, assiste a spettacoli a dir poco "curiosi". Dal vecchio parroco trasteverino, che, alla notizia che, ben presto, per essere prete bisognerà sposarsi, pensa di lasciare il sacerdozio, ai seminaristi che sfilano con la fascia di lutto al braccio per la "morte" di Dio. La Chiesa Spagnola, non contenta di queste riforme, reputate ancora troppo timide e parziali, si è staccata consumando uno scisma.

Nel frattempo, però, la Chiesa Anglicana si è sottomessa e subito ha fatto causa comune con gli ambienti più reazionari di Curia. Circa il papa, poi, proprio durante il soggiorno italiano del prete svizzero, le agenzie di stampa battono la notizia che la presidentessa degli USA, ed un'indiana maestra di yoga, sono divenute rivali, avendo entrambe chiesto pubblicamente la sua mano. Allorché finalmente riesce ad incontrare il pontefice, ne ricava l'impressione che era il più tradizionalista di tutti, seriamente addolorato per la situazione di sfascio della Chiesa, ma che, giuntovi alla guida, aveva concluso che solo toccando il fondo si poteva risalire, e, pertanto, aveva deciso, semplicemente di non far nulla.

In effetti, quando finalmente, (dopo circa un anno di attesa in una Roma completamente secolarizzata e "vedova" della presenza papale), don Walter riesce a farsi dare udienza dal papa, assieme ad altri undici prelati, le uniche parole che ascolterà, prima di tornarsene in Svizzera, dall'amata ma sterile moglie psichiatra Lotte sono:
«I preti sono portati a vedere il buon Dio a loro immagine e somiglianza, anche quando predicano che siamo noi a immagine e somiglianza Sua. Invece... bisogna persuaderci che Dio è diverso, Dio non è prete... E nemmeno frate



3/06/2012
“Roma senza Papa”, e il cristianesimo ritrovò se stesso

Un monaco, anche se non ignaro delle mondanità diplomatiche, rimane un monaco. Tale era Giovanni XXIV all’atto della sua elezione. […].
Ho qui nella cartella ‘Evidenza’, le bozze di una circolare che mi passa Mons. Vescovo. Si avverte il clero dipendente che è consigliabile non tenere elicotteri per uso personale, compresi i c.d. station-copter di impiego promiscuo. Evitare in ogni caso di servirsene in compagnia di donne, specie in età giovanile, comprese le religiose, ancorché indossino le vesti degli ordini.
Risulta dal relativo dossier della VI (sesta) circolare che diramiamo in due anni sull’argomento. Ciò basta a provare che queste reprimende sono inutili. […]
Giovanni dunque era monaco. Adesso che è papa e ha detto addio alle vie della contemplazione per intraprendere quelle, meno comode, dell’azione responsabile e direttiva, la domanda è se ha cambiato vita.
Concezione e intima condotta di vita. Un papa che venga al Soglio del governo di una grande arcidiocesi, cambia soltanto dimensioni di lavoro: Giovanni, oltre a cambiare carriera, ha assunto un nuovo e più strenuo ideale. […] Vediamo sino a che punto si concilia quel poco che sono giunto a sapere di Lui. Notizie di superficie raccolte in pochi giorni e per pochi canali; aneddotica ‘romana‘ più che altro.

Giovanni beve, benché moderatamente. Un paio di bicchieri di vino locale, dopo il pranzo e la cena. Mangia, di gusto suo, pochissima carne. Preferisce latte, formaggi, uova.
Gli piacciono i dolci e non se li fa mancare. Caflisch manda da Napoli le tortiere già pronte, da presentare alla mensa d Sua Santità. Gradisce, in tutte le stagioni, il gelato. Fuma sigarette Peter Stuyvesant, in dose appena normale, (e nel formato comune, non in quello maggiorato che il fabbricante non si perita di chiamare Pope’s size). Mangia da solo, tranne, come già Pio X e Giovanni XXIII, la domenica, quando convita amici, se possibile conterranei. Come tutti gli Irlandesi, il suo vino non lo beve a pasto ma dopo, camminando su e giù per la stanza, o seduto, d’inverno, al caminetto.
Si è dispensato da tutte le pratiche conventuali e monastiche, in quanto obbligo, non però in quanto saltuaria e spontanea frequenza: e non dalla veste, che trova confortevole più del clergyman, adottato dal suo diretto predecessore Libero I. Se fa caldo, lo si può vedere in sandali e perfino affatto scalzo, a piedi nudi.
Nella Residenza non ci sono piscine, nemmeno di quelle ‘micro-olimpioniche’, in plastica, come ne possiede ogni villino di periferia: pure Giovanni si mantiene agile, coltiva volentieri il gioco del tennis. Lo fa senza eccessi; corre voce che abbia giocato, e vinto, con Di Gennaro, l’ambasciatore statunitense. Buon cavalcatore (è un’antica tradizione dei Benedettini d’Irlanda) , si esercita nei giardini della Residenza; opportunamente, a non rievocare fantasmi di papi equestri, adopera le due mule giuntegli in dono dall’Isola dei Santi.
La famosa amicizia con Mrs. Oona Maraswami appartiene, se mai, alla vita pubblica. Gli incontri in verità spesseggiano. Però hanno luogo in biblioteca, presente l’uno o l’altro dei due prelati o camerieri partecipanti; oggi, per l’esattezza, Segretari-privati. Incontri, dunque, spogli d’intimità, anche se non rigorosamente protocollari. Circostanza notevole, che non è ancora stata data in pasto a lettori e telelettori: fra i subalterni della Residenza si contano diverse donne, non religiose e non vecchie, fra cui un’interprete di dialetti africani (negra), una cuoca emiliana, una tecnica inglese del teletyping. Il progresso o comunque il divario, rispetto a Suor Pasqualina, è chiaro e non occorre di più per assegnare il peso che meritano alle versioni ascetiche della personalità dell’Uomo, che si sono tentate da varie parti; leggermente e affrettatamente, a mio sommesso avviso.
Misura, spontaneo equilibrio. Niente di rigido, di mortificatorio, o di esteriormente austero. Certo, d’altra parte, nemmeno più l’ombra del fasto feudaleggiante della Corte che trent’anni fa io ebbi modo di ammirare. Diciamo pure, di venerare.
Non assiste a spettacoli cinematografici, non a concerti, non tiene presso di sé un solo apparecchio TV, neanche del vecchio sistema bidimensionale. Invece dicono che apprezzi, come un papa del Rinascimento, gli spettacoli molto ingenui e animati, di destrezza o fi forza, i giocolieri, i comici, i clown, i lottatori. Al ricevimento del segretario del PCUS, Wassilienko, il maggio scorso, pare che costui osservasse:
Suppongo che Vostra Santità conosca bene Marx.
Quale de due – avrebbe risposto Giovanni – Groucho Marx o Karl Marx?”


lunedì 10 aprile 2023

tra i libri di casa. La Filosofia del Dr. House

La filosofia del Dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo - Blitris - copertina

La filosofia del Dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo – 6 settembre 2007- 

Autore Blitris 


Per House ogni malattia è una sfida, un nuovo e intrigante puzzle da risolvere con acume, spirito di osservazione, abilità analitiche e intelligenza. E la sfida, per noi, è House. Come ragiona? Come fa a indovinare la diagnosi? Come fa a sapere che è corretta? E’ buono o cattivo? O è al di là del bene e del male? E perché, in fondo, ci affascina tanto? Ecco perché abbiamo deciso di discutere di filosofia con Gregory House. Perché oltre a mostrarci qualcosa di assolutamente originale ha anche qualcosa di appassionante da dirci.

“Che questa iper-etica della singolarità, che questo imperativo fondato sulla concreta vanificazione dei principi universali incontri il successo di un vasto pubblico è, se non una prova, almeno un indizio del fatto che tale etica è possibile.” (Girolamo De Michele, Liberazione, 31.1.2008)

Blitris è il nome di un collettivo filosofico nato nel 2007 i cui membri sono M. Cristina Amoretti, Daniele Porello, Simone Regazzoni, Chiara Testino. Blitris (dal greco blityri) indica una parola senza significato, un puro suono che imita quello di uno strumento a corde.


Descrizione


Nell'epoca in cui i festival di filosofìa riscuotono il successo dei grandi concerti rock, si può forse cominciare a dire che la filosofia è aperta a tutti quelli che hanno voglia di sperimentarla, non solo agli specialisti. La filosofia discute di temi e problemi che riguardano tutti. Che cosa è giusto o sbagliato? Come si conduce un ragionamento corretto? Che cosa conosciamo? Si tratta allora di capire come entrare nel mondo della filosofia. Come imparare le regole del gioco. I 4 giovani filosofi autori del libro hanno scelto di discutere di filosofia con Gregory House, l'originale protagonista di una delle serie tv più seguite di tutti i tempi, Dr. House M. D. Perché si può fare filosofia anche senza i manuali. In maniera appassionante, rigorosa, ma anche divertente... divertente come guardare la propria serie televisiva preferita.


Fare filosofia a partire da un telefilm: un modo originale per avvicinare il pubblico, specialmente gli studenti, a questa materia. Un telefilm popolare, con spettatori trasversali in cui sono numerosi i liceali e gli universitari. Quattro approcci diversi, ma uno stile sempre chiaro e ricco di richiami a dialoghi e puntate. La singolare etica di House che va al di là dell'etica ed è un'iper-etica; le ragioni e la logica di House spiegati a partire da precisi episodi.


'Studiamo il mito pop per parlare con tutti'

Le lezioni di Socrate, Derrida, e Kierkegaard spiegate attraverso lo stetoscopio, le stampelle e l' irresistibile arroganza del medico più amato del piccolo schermo. Termini come «epistemologia» e «iper-etica» che acquistano un senso improvvisamente chiaro in una corsia d' ospedale, tra trapianti di cuore e terapie sperimentali. E l' imperativo categorico di Kant, un dovere incondizionato a cui occorre sacrificare tutto, che si materializza nella missione-ossessione, fatta propria dal personaggio interpretato da Hugh Laurie, di salvare la vita al paziente a costo di trasgredire qualsiasi regola e qualsiasi morale. Insomma, una filosofia del doctor House è possibile, almeno secondo Maria Cristina Amoretti, Daniele Porello, Simone Regazzoni e Chiara Testino: quattro giovani filosofi dell' Università di Genova che hanno deciso di riunirsi in un collettivo, Blitris («una parola senza senso, un puro suono che imita quello di uno strumento a corde»), per provare a spiegare «etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo». Il loro La filosofia del Dr. House (Ponte alle Grazie, 2007) sarà protagonista, oggi alle 17.30 alla Biblioteca delle Oblate (via dell' Oriuolo, 26, ingresso libero) del primo appuntamento del 2009 di «Leggere per non dimenticare». A presentarlo, Sergio Givone, docente di Estetica all' Università di Firenze. Nel prologo al vostro saggio - chiediamo a Simone Regazzoni - scrivete che «la filosofia non dovrebbe rinunciare a niente, nemmeno alla televisione». «Abbiamo semplicemente portato in Italia qualcosa che è molto diffuso nel mondo angloamericano, e cioè una filosofia della cultura di massa. Può sembrare una provocazione, ma trattiamo un mito pop come Doctor House con lo stesso rigore di Platone o Aristotele. Nel farlo, certo, abbiamo attirato giudizi feroci, ma capitò anche a Eco, quando scrisse La fenomenologia di Mike Bongiorno e fu criticato da Citati. Altrove, invece, siamo stati apprezzati: La filosofia del Dr. House è stato adottato anche in alcuni corsi di laurea». Fare riferimento a un telefilm così popolare può servire ad avvicinare i giovani a una materia in apparenza tanto ostica come la filosofia? «è quello che speriamo. Il libro può essere letto da tutti, anche se, di sicuro, richiede un certo tipo di sforzo. Uno sforzo che abbiamo fatto anche noi, soprattutto nella scrittura. Alla fine del libro, abbiamo inserito un piccolo glossario per far sì che i termini utilizzati siano accessibili a chiunque. Questo perché condividiamo l' idea gramsciana secondo cui la filosofia non deve essere confinata in un' élite». Il metodo utilizzato - scrivete - è quello socratico. In cosa consiste? «Porre domande per far emergere dei problemi. Socrate lo faceva nella pubblica piazza ad Atene. Noi facciamo la stessa cosa nella piazza globale dell' universo mediatico». Leggendo il libro si avverte, oltre a una conoscenza approfondita degli episodi, una certa fascinazione per la serie. Ammettetelo, siete fan di Doctor House? «Inutile bluffare, i lettori se ne accorgerebbero! La risposta è sì, amavamo Doctor House ben prima di pensare di scriverci un libro. Lo troviamo fantastico, scritto benissimo, come tante altre serie televisive statunitensi, che sono vere e proprie opere d' arte della cultura di massa. Del resto, anche un grande filosofo come Derrida non si perdeva una puntata di Dallas». In appendice, accanto ai personaggi tv compaiono filosofi come Francesco Bacone e Guglielmo d' Occam. «Si tratta di mescolare alto e basso, di non tenere la filosofia ingessata nel suo empireo. House è un personaggio concettuale esattamente come Socrate, e per questo stanno benissimo accanto. Così come Derrida è perfetto accanto alla dottoressa Cuddy».


https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/01/07/studiamo-il-mito-pop-per-parlare-con.html


 La filosofia del Dr. House, scritto a otto mani dal collettivo filosofico Blitris (composto da quattro ricercatori di filosofia dell’Università di Genova). Un collettivo che si muove nell’ambito del post-strutturalismo francese, e che sembra voler riconoscere alla filosofia il compito di ricognizione e chiarificazione dei linguaggi e degli oggetti della quotidianità, animati dal convincimento che «non ci sono cose degne o indegne di attenzione filosofica, ma solo modi buoni o cattivi di fare filosofia sulle cose. Tutte le cose»: in una fase di profonda crisi della filosofia, non è un compito da poco. E Gregory House non è il più facile degli oggetti da assumere per una fenomenologia dei comportamenti. Logico e illogico al tempo stesso, impermeabile ad ogni regola – «House non disobbedisce alle regole, le ignora e basta. Non è Rosa Parks, è un anarchico» – ma anche portatore di un particolarissimo imperativo etico: non lasciare nulla d’intentato per sconfiggere la malattia (NB: sconfiggere la malattia, NON curare il malato), nella convinzione che per un medico la propria sconfitta, cioè la morte, sia «un sintomo incurabile». Detto altrimenti, House si relaziona all’evento (la malattia), obbedendo a un imperativo incondizionato la cui forma, diversamente da Kant, non è universale, ma assolutamente singolare. L’etica della singolarità, da Kierkegard a Deleuze, è proprio questa: mentre l’agire dell’eroe tragico «ha il suo fine nell’universale, nel bene universale, il Singolo sospende l’etica e le sue regole perché il suo fine è mettersi in relazione con l’altro assoluto al di là dell’universale». Appoggiandosi all’etica di Alain Badiou, Blitris ricorda che la situazione clinica non significa altro che «curare questa persona che glielo domanda fino in fondo, con tutti i mezzi di cui conosce l’esistenza»


Articolo integrale sta in 





https://www.carmillaonline.com/2008/02/03/blitris-la-filosofia-del-dr-ho/

domenica 2 aprile 2023

tra. i libri di casa -L'impossibile morte dell'intellettuale Sergio Quinzio*



*http://www.pensierofilosoficoreligiosoitaliano.org/node/52

GF-RECENSIONI-Gily-Dieci-anni-dalla-morte-di-Sergio-Quinzio.pdf



"Rifiutò con lo sdegno di Giobbe ogni riduzione delle promesse messianiche: se il regno di Dio è il benessere dell’anima ma non la fine dell’ingiustizia, se il paradiso è una condizione psichica ma non la risurrezione dei morti... allora non interessa proprio a nessuno. In questo dispotismo spiritualista Quinzio vedeva prevalere la matrice greca del cristianesimo, cosa che lo portò a recuperare le radici ebraiche della teologia, perché per la Bibbia la salvezza è palpabile e quantificabile, incide sulla materia e sulla storia, sul corpo e sul sangue.".. «Negli ultimi anni in Sergio l’attesa del Regno era posta nel cono d’ombra della domanda, sempre più incombente, sul Regno non venuto. Solo la morte stessa della speranza pareva permettergli di accedere a una salvezza povera, l’unica che ci è ancora concesso di attendere; un frammento salvato a stento dalla gola del leone che vale più di tutto il resto. A chi interessa una lettura di questo tipo?

«Per i cultori del nichilismo, e per molti altri, è troppo organicamente legata alla Bibbia; per la maggior parte dei cattolici è troppo sconvolgente; per i biblisti troppo poco esegetica; per i fondamentalisti presenta un volto di Dio troppo povero. È destinata a pochi. Ma ci si può chiedere: questo esito non voluto non è forse un duro sigillo della sua autenticità?(Paolo Pegoraro)


consultare anche 

Due rintocchi della vecchia campana di Sergio Quinzio

a pagina 9

https://www.byterfly.eu/islandora/object/librib:555588/datastream/PDF/content/librib_555588.pdf