venerdì 23 febbraio 2024

La luna sulla terra di Riccardo Redivo.Un racconto dalla raccolta di Riccardo Redivo Racconti sempre meno (Robin Edizioni 2023).






Alla Terra che l’uomo calpesta

La fantasia è la facoltà di rendere plastico.
Novalis

   Infine hanno scelto me.
Una doppia vittoria dentro un’abissale sconfitta.
Vittoria perché hanno scelto me, appunto, e vittoria perché non ho una laurea, solo lavori e conferenze, scrittura e parole e, prolungamento di questa vittoria, non sono mai andato, almeno volontariamente, in TV o sul web (i filmati dei miei interventi arrivano subito dappertutto, ma non con il mio consenso). Quindi io, senza accademia, senza televisione, senza web. Ma è meno di una consolazione, è quasi il colmo di una conferma perché il mio compito è compreso dentro una sconfitta mostruosa, incredibile, sovrumana. Tutta l’arte fisica, concreta, plastica, finirà sulla Luna. Tutta. Tutte le manifestazioni artistiche che occupano spazio. Tutte. Di primo acchito mi sono messo a ridere, ma le giacche, gli occhiali, le età e quell’aria da noi possiamo tutto, abbiamo voti, soldi e potere mi hanno convinto: non scherzavano e mi avrebbero pagato quanto volevo. Piangevo per le mie due vittorie e per la più grande sconfitta dell’uomo. Spostare la propria arte, il proprio sensibile e visibile nucleo umano su un altro pianeta, apparentemente per rispettarlo, valorizzarlo, proteggerlo, in verità per disfarsene e liberare un bel po’ di spazio ad alloggi per esseri umani, è mostruoso, anche il solo pensarlo, figuriamoci il concepirlo. Le case, o meglio i dormitori che ne risulteranno saranno privi di fregi, di curve, di amore, di anima o di un seppur minimo approccio trascendentale. La traccia della propria umanità, spostata: rimarranno solo filmati, video e scansioni, ricordi subacquei di un cielo che non esisterà più, o che diventerà molto presto incomprensibile. Anche gli incunaboli, le cinquecentine, tutti i libri fino alla nostra ultima produzione libraria finiranno sulla Luna. Quegli uomini in nero, grigio e blu, in doppiopetto e senza barba, hanno detto che sospenderanno, grazie a una legge creata ad hoc, la pubblicazione di libri cartacei il primo gennaio del prossimo anno, anche qua per motivi ambientali, dicono, ma la verità è sempre quella, per dare alloggio al corpo umano, che abiterà vuoto case vuote: corpo e casa, due corpi freddi che non potranno riscaldarsi più. Magari non alla prima generazione, non alla seconda, ma alla terza, alla quarta… Venticinque miliardi di persone su questa Terra, ma che notizie, che storie, che arti si possono avere, si possono studiare, si possono fare? Niente, nulla, solo claustrofobia e sopravvivenza. E quindi via l’arte toccabile, visibile, annusabile, sfogliabile. Già non se ne sentiva la mancanza… non è vero, alcuni di noi avevano percepito una diminuzione, una riduzione collettiva dell’arte concreta, tangibile: a saper guardare, da anni non si creava nulla.


   Ho appena iniziato il lavoro e già il vuoto creato dalle rovine e dalle arti di Creta è stato rimpiazzato da un grattacielo chilometrico, un blocco unico, da costa a costa, senza soluzione di continuità. Così straniante che la parola grattacielo è sbagliata o insufficiente perché non ci sono case che possano indicare una qualche altezza, un qualche livello standard di confronto: se non c’è un riferimento, che cos’è l’alto?
Sulla Luna, invece, è tutto bello, ogni volta che ci penso e ogni volta che la vedo, piango, piango con la consapevole amarezza del privilegio che abbiamo io e la mia squadra di neanche cento persone fra esperti delle varie aree e trasportatori che mi hanno permesso di scegliere (non contando le migliaia di carcerati che sgobbano come bestie senza conoscerne il senso).
Con l’infinità di risorse e di soldi da parte di tutti i governi del pianeta (liberare chilometri quadrati significa investimento) sto realizzando una cosa impossibile che vedrà la luce nonostante la sua assurdità. All’inizio però non sapevo proprio da dove prendere questo progetto, da dove partire. Ero basito e smarrito. Poi mi sono fatto coraggio e ho scelto la via più semplice e chiara, la più semplice e chiara idea che potevo avere, almeno così ancora mi ripeto. Trasportare le varie fasi di una città, di una cultura mostrando i vari livelli di crescita, evoluzione, annientamento: non avevamo problemi di soldi e così potevo ricostruire tranquillamente uno sopra l’altro i vari periodi e anche integrarli tra loro. E ho subito capito che avrei fatto scoperte interessantissime in merito a molte civiltà concrete (così le chiamano nell’insegnarle ai ragazzi: civiltà che inquinavano e prendevano spazio, non come stavano facendo loro fondando questa nuova civiltà astratta… che in realtà mi sembra un’operazione in cui si asporta il paziente e si tiene il tumore). Non sapevo però da che civiltà, da che cultura iniziare né come circoscriverla. Poi ho trovato sia il come che il dove, ponendomi da filologo dell’arte umana. Per quanto sembri assurdo e borioso, era più o meno quello che mi si chiedeva, quello per cui ero pagato. Quindi sono partito per aree, prossimità di aree fino a conquistare tutto il mondo manufatto, tutto il mondo passato che abbia lasciato un’orma non digitale e non sonora. Sembra tanto, sembra impossibile, ma una volta progettato bene, tutto funziona, come un’operazione di chirurgia senza possibilità di emorragia o infezione. Almeno fisica. Strano no? Un’operazione fisica, concreta come la mia, che non provoca sangue né morti, è più devastante di tutte le operazioni a cuore aperto mai fatte. Perché il cuore su cui opero è chiaramente metaforico. Per fortuna non ho dovuto preoccuparmi né dei dinosauri o degli altri fossili animali, né dei resti scheletrici appartenuti ai nostri lontani fratelli, quelli che ci hanno preceduto e che non ci seguiranno. La parola d’ordine, la chiave era Arte nel suo significato più vasto, completo, il risultato tangibile di una modificazione per mano umana a fini artistici, trascendentali, di bellezza.

   Dopo aver salvato – alle volte mi dico, realisticamente, tradito – le prime opere dell’uomo quali le scritture murali (le incisioni rupestri della Valcamonica in Lombardia o le pitture rupestri di Lubang Jeriji Saléh nel Borneo o nella grotta di Chauvet in Francia…), i primi strumenti (i flauti d’osso, i tamburi di pelle…) le prime abitazioni (le molte grotte modificate in tal senso ma anche le tracce di alcune palafitte…) che alla fin fine non sono molte, pensavo di iniziare dalle popolazioni mesopotamiche, dalla mitica Mezzaluna fertile ma poi mi sono deciso per un’altra culla, Creta (quella della lineare A, dei geroglifici, della civiltà minoica) perché era una zona circoscritta che mi consentiva di fare la prima prova. Se per le precedenti opere le zone erano sparse e piccole (grotta, altipiano, parete, museo) per le successive epoche artigianali, artistiche, tecnologiche no, anzi. Per cui mi sono orientato sul piccolo, in termini relativi, per farmi le ossa e capire se la mia scelta poteva avere dei punti deboli. Ovviamente di punti deboli ne aveva, ma non così importanti da impedire il disegno generale, la teoria che avevo in mente e che oramai ha preso abbrivio e concretezza. Insomma, la parziale vulnerabilità veniva riscattata dalla quasi onnicomprensiva teoria che avevo elaborato e che, a dire il vero, era sorprendente solo per la sua realizzazione gigantesca, inumana, immorale, non per il modo; su quel punto credo non abbia inventato nulla.
Prima di iniziare ho chiesto a quelle eleganti e brutte persone come mai la Luna. Ingenuo che non sono altro! Non solo per la vicinanza al nostro bel geoide, ma perché sulla Luna – e chi ci aveva mai pensato? – ci stanno tutte le opere umane, tutte! La superficie di terra emersa in cui sono site il 98% delle opere umane è poco più di 149 milioni di kmq mentre la superficie della Luna è di quasi 38 milioni di kmq: la Luna è praticamente un quarto della Terra. Ma voi credete che tutte le superfici di terre emerse della Terra siano piene di opere d’arte, di manufatti umani? Ovviamente no! Ergo, ci sta tutto, tutto: dalle grotte di Matala al labirinto di Cnosso (per rimanere a Creta), dalla Valle dei Re (Egitto) alle Tombe dei Re (Cipro), dalle piramidi egizie a quelle azteche, dai quadri di Turner a quelli di Bacon, da… Beh, i quadri poi, assieme alle sculture e alle installazioni, riusciranno addirittura ad acquistare una maggiore visibilità: svuotando i magazzini, le cantine e le case, le opere artistiche messe da parte o sconosciute potranno venir viste, gustate, godute. È una gioia progettare nuovi grattacieli artistici, grattacieli costruiti esclusivamente per l’esposizione artistica. Mi sbizzarrisco nelle forme più complesse, simboliche. Una per tutte: le lettere dei primi sessanta versi dell’Inferno di Dante le ho rese grattacielo. E poi non c’è bisogno neanche di cessi o di uscite di emergenza. Dall’alto le città lunari saranno versi come non sono mai state quelle terrestri, arte nell’arte per chi saprà ancora leggere. È un mio vezzo, amaro, fàtico ma in qualche modo ludico. Una poesia eidetica inutile.

   Adesso sto registrando la mia voce percorrendo il labirinto, so dov’è l’uscita e dov’è l’entrata e so che il minotauro è il significato di questo uomo che ha spostato la propria produzione, da un fare vivo, attivo, a una conservazione proiettata alla dimenticanza. Un percorso che degenera dall’umanità alla bestialità, un corpo che vede con gli occhi di toro, che pensa, pur avendo due gambe, come se avesse quattro zampe.
Se avessi la possibilità trasformerei la Luna in una navicella spaziale e me ne andrei via con gli umani che conoscono il suo valore. Mettere però dei motori a questo satellite terrestre è praticamente impossibile per via delle giacche blu, grigie, piene di mostrine e bottoni e profumi che sorvegliano giorno e notte tutti noi, in ogni azione. Sono riuscito a fatica a farmi concedere questo registratore vocale giustificando che mi serviva come sistema di appunti per il trasloco dei manufatti. Avevo cercato anche di convincere uno di questi responsabili dell’Operazione Arte (nome ironico in quanto l’arte senza la presenza dell’uomo non può esistere: come la si valuta, chi la valuta, chi ne usufruisce?) dicevo, stavo cercando di convincere uno di questi responsabili potenti con profumi e bottoni a scegliere e formare alcune famiglie, almeno una cinquantina (che non sono niente a confronto degli uomini-coniglio che abitano oggi la Terra), addette al sapere concreto, plastico. Per la conservazione, o meglio per arginare una cancellazione storico-artistica nonché spirituale dell’uomo (vedere il Partenone su di uno schermo o in un ologramma non è vederlo veramente e non è come passarci in mezzo). Come, ma questo non glielo dissi, le antiche famiglie griot o le antiche scuole aediche. Mi guardò con un’espressione a punto di domanda. Gli ricordai che il mio salario poteva comprendere anche questa tipologia di spesa e allora, accettando l’incomprensione, accondiscese. Prima di lasciarmi cercò di rimediare alla brutta figura asserendo che in effetti qualcuno doveva far da guida, per fortuna non disse turistica, anche se ho il sospetto che si trattenesse, ai terrestri che avrebbero voluto vedere la Luna e che avrebbero sborsato uno sproposito, magari rinunciando a qualche centimetro della loro casa. La Terra sulla Luna, corressi a un certo punto, ma questo proprio non lo comprese. E non poteva nemmeno comprendere che se è vero che abbiamo cominciato a portare la Terra sulla Luna, nel senso che stiamo portando le cose più preziose prodotte dall’essere umano, è anche vero che abbiamo cominciato a portare la Luna sulla Terra, cioè l’aridità, il vuoto di arte e intelletto dei non esistenti lunatici. Alla fine nessuno ci guadagna, sono entrambi disastri ambientali e umani, disastri etici, spirituali. Noi, famiglie privilegiate perché acculturate o consapevoli, potremo vedere meglio l’anima dell’uomo che scoprirà qualcosa di sé che sulla Terra non riusciva a capire; perché i propri tasselli erano sparsi e per la maggior parte dei terrestri di difficile lettura, di ardua comprensione. È meno di una consolazione, ma me lo ripeterò fino alla fine. Non avrei senso altrimenti.

   Una cosa meno assurda, pure questa disumana e ufficialmente ancora illegale, è che i carcerati, a conclusione del lavoro, verranno mandati sui satelliti medicei in base alla pena comminata loro: i caldi vulcani di Io, i ghiacci di Europa, le rocce e i ghiacci di Callisto e Ganimede distingueranno diversi livelli di pena, ma indipendentemente dal tipo di reato commesso (e di questo la Terra-Minosse se ne fotte letteralmente). Inoltre, e qua dovrò terminare la registrazione per completare il labirinto, siccome sulla Luna siamo in pochi e la libertà di movimento e ascolto è concessa, tollerata, insomma più facile, ho potuto sentire uno di questi signori dire a un altro che il progetto di esportazione della flora terrestre su di un pianeta di cui non ho potuto raccogliere il nome avrebbe potuto iniziare a breve: una volta convinti i vari governi, quel pianeta sarà usato sia per la conservazione che per la coltivazione… cibo per la Terra! E la stessa cosa, ha continuato il doppiopetto, bisognerà fare con la fauna della Terra, ma c’erano ancora alcuni problemi da risolvere, in primis convincere i fanatici (e abbienti!) proprietari di animali domestici a privarsi di quelle creature ruba spazio e ruba cibo e ruba loro stessi.
Un’ultima cosa, che devo aver già detto ma che vale la pena ripetere (e ora che ci penso pena ha il doppio senso): la mia fortuna nei confronti del sapere umano mi porterà ad avere uno sguardo più distante, direi esterno, distaccato: l’uomo, sulla Luna umanizzata dalla storia dell’uomo, potrà riuscire a vedersi, potrà riuscire a vedere qualcosa di sé in un modo migliore. Come quando si discosta la tenda per far entrare pochi ma indispensabili raggi solari per comprendere la conformazione e gli ostacoli della stanza-mondo. Ma se lo capiremo solo io e quella cinquantina di famiglie che sono quasi pronte a proseguire il trasloco delle varie aree della Terra artistica, avrà qualche importanza per l’uomo? Un esperimento in-vitro che non può riprodursi, che non ha bisogno del risultato né può darlo, un vicolo consapevolmente cieco intrapreso solo per il rispetto del sentire di un’anima che l’uomo potrebbe avere? Con il sospetto viscerale che questa fantomatica, fatidica, faticosa anima possa venir (anche lei!) relegata lontano dal corpo, magari in un pianeta che l’uomo non ha mai calcato…
E così, la fantasia andrà via dalla Terra.


Riccardo Redivo (1978) è figlio di librai storici di Trieste, città in cui vive e lavora. Si è laureato in Lettere e Filosofia e dal 2010 collabora con il mensile di ecologia e cultura Konrad, di cui attualmente è il direttore. È pubblicista e ha scritto testi per canzoni, teatro e burattini. Tra le sue pubblicazioni: La letteratura morale. Piccolo saggio su due libri di Boris Pahor, Asterios Edizioni (2008); Alda Merini. Dall’orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009), Asterios Editore (2009); Doppio canto. La poesia cantata della letteratura italiana. Analisi e inventario delle musicazioni. 1900-2012, Metauro Edizioni (2012); la raccolta di poesie Uvala, Sillabe di Sale Editore (2017); il romanzo Era un appassionato di arcobaleni, Il Seme Bianco editore (2018); la curatela meriniana Confusione di stelle, Einaudi (2019); il romanzo Mismas, Sensibili alle foglie (2020) e il contributo “La trasformazione dell’endecasillabo nelle musicazioni pop italiane” in Paolo Bravi, Teresa Proto, L’endecasillabo cantato. Dalla metrica alla voce, Nota edizioni (2022).