sabato 31 ottobre 2020

Il segreto dell’asinello di Irene Johanson traduzione di Agata Caci



Giuseppe era un falegname. La sua casa e la sua falegnameria erano aNazareth, ma là non c’era abbastanza lavoro per lui e così molto spesso doveva recarsi altrove, dove la gente aveva bisogno di lui. 

Se qualcuno voleva  costruirsi una casa, chiamava Giuseppe il falegname per costruire le travi del tetto, installare le cornici delle porte e delle finestre, o aiutarlo a fare armadi,sedie, tavoli e letti. 

Giuseppe era spesso lontano da casa. Maria, che teneva in ordine la sua casa, doveva sempre aspettare il suo ritorno.

Una sera, Maria era inginocchiata a pregare tutta sola nella sua stanza

All’improvviso ella vide di fronte a sé un angelo che le disse: “Salute a te, o piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta da Lui, da te nascerà un figlio e tu lo chiamerai Gesù.”

Maria si turbò e disse: “Come può essere ciò? Io sono soltanto fidanzata a Giuseppe.”“Non temere, Maria – le disse l’angelo – Dio stesso è il padre del tuo bambino perciò egli sarà chiamato Figlio di Dio. Vedi, anche tua cugina Elisabetta aspetta un bambino sebbene sia molto vecchia e il popolo dica che non potrà più avere figli. Ma con Dio tutto è possibile.”

Maria si sentì ricolma di gioia e disse: “Io sono l’ancella del Signore, che mi avvenga quello che tu mi hai detto”. E l’angelo si allontanò da lei.

Poco dopo Giuseppe rientrò a casa e Maria gli raccontò ogni cosa che l’angelo le aveva detto. Giuseppe era sconcertato. Egli pensava: “La gente non crederà che Dio è il padre di questo bambino. Tutti rideranno di noi e metteranno Maria in ridicolo”. Egli si sentiva turbato e quando venne la notte non poté né dormire né restare più a lungo nella casa. Si alzò, andò nella stalla, prese l’asino e uscì segretamente.

Cavalcò lungo uno stretto sentiero ai margini di un campo. Tutto a un tratto l’asino si bloccò e non volle più proseguire. Giuseppe gli parlò gentilmente, ma esso rimase immobile. Giuseppe lo spronò e gli parlò ancora una volta.

Allora l’asino abbandonò il sentiero e, muovendosi in un semicerchio sul campo, raggiunse di nuovo il sentiero un po’ più oltre. Giuseppe si chiedeva:

“Che cosa mai sta succedendo a quest’asino? Non è normalmente così ostinato!”

Dopo breve tempo l’asino rifiutò di nuovo di proseguire. Questo accadde di nuovo per la terza volta. “Che faccenda è mai questa?” si chiedeva

Giuseppe. “Perché non mi obbedisce e continua a fare queste inutili deviazioni? Forse io ho fatto male a lasciare Maria da sola di notte. Ora ritornerò e pregherò Dio e gli chiederò che cosa devo fare”.

Ora sul sentiero, l’asino si era trovato di fronte un angelo che non voleva lasciarlo passare. Questa era la ragione per cui esso aveva rifiutato di muoversi. Ma siccome Giuseppe aveva insistito così tanto perché proseguisse, egli  aveva dovuto eseguire una giro attorno all’angelo. L’angelo si era posto tre volte di fronte a Giuseppe ma Giuseppe non lo aveva notato.

Dopo aver riportato l’asino nella stalla, Giuseppe ritornò nel suo letto e poté finalmente dormire in pace.

L’angelo tornò ancora una volta. Egli andò prima di tutto nella stalla e parlò all’asino: “Poiché tu sei stato capace di vedermi e poiché tu sei stato battuto e rimproverato a causa mia, tu sperimenterai una grande gioia. Durante l’inverno che sta per arrivare, tu sarai presente quando il figlio di Dio verrà sulla terra. Ci sarà un freddo gelido per gli esseri umani, ma tu potrai dare al bambino il tuo calore”. Ora l’asino possedeva un segreto!

L’angelo apparve poi in sogno a Giuseppe e gli disse: “Giuseppe, accetta Maria come moglie e come madre del tuo bambino. Lo spirito di Dio gli ha dato vita nel suo grembo e quando sarà nato tu lo chiamerai Gesù. Egli sarà il salvatore di tutti gli uomini”. Quando Giuseppe si svegliò dal sonno, fece tutto ciò che l’angelo aveva detto e pensò fra sé: “Che buona cosa che l’asino sia stato così ostinato! Altrimenti io non sarei tornato e avrei mancato contro Dio”.

Egli andò nella stalla, diede all’asino una bella quantità di fieno, più del  solito, e lo ringraziò. L’asino se lo gustò davvero e pensò fra sé: “Se solo tu sapessi che segreto nascondo!”


http://lacomunitadeicristiani.it/allegati/testirivista/avvento%202015Il%20segreto%20dell’asinello.pdf

venerdì 30 ottobre 2020

RACCONTI "LARVATUS PRODEO" ALESSANDRO PARIS- "Da Leopardi sarebbe magnifico"



https://www.glistatigenerali.com/costumi-sociali/larvatus-prodeo/


14 Ottobre 2020

Per ragioni lavorative (sono un pendolare) prendo un trenino alle 6 di mattina. È quasi vuoto. Poi torno verso la una. Questo è pieno.

Tutti indossano la mascherina, magari qualcuno con il naso di fuori. Alcuni la ffp2. Quando qualcuno si soffia il naso il mio istinto mi porterebbe ad allontanarmi, ma sembrerebbe scortese. Quando vedo qualcuno senza mascherina, so che dovrei chiedergli gentilmente di tenerla, ma temendo una reazione scortese non lo faccio, se riesco lo segnalo discretamente al capotreno. Ma dentro di me covo sentimenti di odio e pulsioni aggressive.

In ogni caso quello che mi dà davvero fastidio è che la gente parli, parli, parli, con o senza mascherina, e non solo per ragioni igienico sanitarie, ma proprio per ragioni psicologiche: mi dà fastidio essere interrotto nei miei pensieri. I ragazzi in genere parlano di scuola e questo me li rende più amabili. In genere hanno tutti la mascherina, e correttamente portata. Alcuni, a gruppi (è tipico dell’età evolutiva muoversi a gruppi – e questo lo so perché, caro Professor Galimberti non tutti siamo ignoranti come lei pensa di psicologia), si siedono nei mini scompartimenti e giocano ad un gioco che implica l’interazione dei cellulari – in cui c’è una figura chiamata “l’impostore”. Non so di che gioco si tratti, ma è davvero molto comune.

Tornando agli utenti generici, voglio dire non scolari: rari ormai sono quelli che si limitano a scrollare le loro pagine social in silenzio. Ancor più rari coloro che ascoltano la musica. Quasi nessuno legge un libro (non dico I salmi di Davide o Kant, basterebbe anche un manuale scolastico, un giallo svedese o un libro di Recalcati). Nessuno legge un quotidiano. Nemmeno la Gazzetta dello sport. Niente. Penso a quelli che si preoccupano per la questione degli invitati in casa. Non invito più nessuno dal ’17. Ogni tanto viene un omino a ripararmi la caldaia. Ho amici immaginari. Oppure, come Machiavelli al Vettori , etc etc…

A scuola faccio lezione con la mascherina.  Vado alla macchinetta del caffè con la mascherina. Bevo il caffè con la mascherina. Per strada cammino con la mascherina (anche perché è una valida protezione dalla tramontana di metà ottobre in trentino) In palestra mi alleno con la mascherina. A letto dormo con la mascherina. A letto non dormo con la mascherina, ma se il governo lo raccomandasse lo farei. Non ce la farei se ci fosse un look down, non ce la farei a fare più lezione on line

Fossi un governante proporrei un regolamento: quando siete in un mezzo pubblico state in silenzio, non parlare con il vicino, specie di temi quali “la dittatura sanitaria”, “l’inutilità della mascherina”, “il governo-che-non-fa-le-cose che-deve”, “il-virus-che-non-esiste”, “a-casa-mia-faccio-quello-che-mi-pare” (falso, se compi un reato la cosa non si può fare) “la polizia a casa mia non entra (falso: sempre nel caso precedente, entra eccome). Non avviare telefonate prendendo o procrastinando appuntamenti, organizzando cene, litigando con il partner, dicendo di preparare cena pranzo colazione, etc. Stare in silenzio, parlare poco, anzi nulla, mascherina tirata sul naso, leggere, ascoltare musica, aggiornarsi, informarsi, meditare sulla fine del mondo o sull’avvento del Messia.

Nei treni, nei pulmann, per strada, ovunque.

Ma per fortuna non sono un governante.


Ma sono un cittadino e posso fare una raccomandazione. Vi prego, mascheratevi. Da Batman, da Uomo ragno, da La casa de papel, da Cartesio (cit Larvatus prodeo = incedo mascherato). Da quello che volete. 


Da Leopardi sarebbe magnifico.


Una società di filosofi mascherati.


Su facebook ieri ho messo la seguente frase:

I am in the process of eliminating or banning people who to my knowledge are, even slightly, downplayers or deniers of Covid. Or even those who are distorting it. Before, I only pity them, now they cause me anger and physical revulsion. So, if you are among them, unsubscribe from my contacts. You will avoid wasting my time, and yours too, which I am already wasting a lot here and elsewhere.

sabato 24 ottobre 2020

L’analfabeta politico, di Bertold Brecht







Il peggior analfabeta

è l’analfabeta politico.

Egli non sente, non parla,

né s’interessa degli avvenimenti politici.


Egli non sa che il costo della vita,

il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,

dell’affitto, delle scarpe e delle medicine

dipendono dalle decisioni politiche.


L’analfabeta politico è così somaro

che si vanta e si gonfia il petto

dicendo che odia la politica.


Non sa l’imbecille che dalla sua

ignoranza politica nasce la prostituta,

il bambino abbandonato,

l’assaltante e il peggiore di tutti i banditi,

che è il politico imbroglione,

il mafioso, il corrotto,

il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.


Bertolt Brecht

venerdì 23 ottobre 2020

I tiranni sono grandi solo perché noi siamo in ginocchio»-



Si cita spesso La Boétie, grandissimo amico di La Montaigne morto cosí giovane, perché seppe, prima di morire, tanto tempo fa, parlarci in termini superbi e cristallini de La servitú volontaria, usando una frase essenziale e luminosa — che sembra non sia assolutamente sua, lo preciso con il mio Wiki alla mano — e questo spiega quello — e si dice dunque che è del rivoluzionario tuttavia ghigliottinato Pierre Victurnien Vergneaud—, ma insomma frase che ci servirà altrettanto bene, ne converrete: «I tiranni sono grandi solo perché noi siamo in ginocchio»  Anche se non fosse sua, facciamone un’analisi con gli strumenti che lui ci dà, e che utilizziamo a modo nostro […], Significa che i tiranni non sono «grandi» per natura, e dunque sono «piccoli» e «deboli» per natura, ed è dunque questione di natura, voglio dire d’ontologia; vuol dire che che siamo asserviti solo a causa di una «postura» (in ginocchio) e affatto per una natura, un’ontologia che sarebbe quella dell’asservimento. Di conseguenza, lo sconcerto di La Boétie di fronte alla «servitú volontaria» è facilmente comprensibile, e lo condividiamo, in particolare al riguardo delle descrizioni che le penne autodefinentesi rivoluzionarie ci presentano, di masse innumerevoli che stanno, dicono queste penne, innumerevoli in ginocchio e senza muoversi


Cosa veramente sorprendente [è] vedere milioni di milioni di uomini, miseramente  asserviti, e sottomessi a testa bassa, ad un deplorevole giogo, non che siano costretti da una forza superiore, ma perché sono affascinati, e per cosí dire, stregati dal solo nome di uno, che essi non dovrebbero temere, dato che è solo, né amare, dato che è, verso tutti loro, disumano e crudele. 


Ma non è meglio, prima di tutto, sapere precisamente di chi parla l’autore e moralista La Boétie? Perché a leggere questo brano successivo (vedi piú avanti) della sua opera, si scopre che i veri oppressi non sono affatto quelli che si ritiene il tiranno opprima, quel popolo che i critici fustigano come «pecore» incapaci della minima ribellione; ma ben diversamente, quelli che, nei salotti e nelle redazioni, servono al tiranno da complici zelanti e da premurosi servitori. (Tradotto in linguaggio , diremmo che quelli che praticano la servitú volontaria — e si capisce perché — sono prima di tutto le élitesSistema gli intellettuali-zombie che servono il tiranno, vale a dire il Sistema). 



[Ed è] cosí che il tiranno asservisce i soggetti gli uni mediante gli altri… ¶ Perché a dire il vero, avvicinarsi al tiranno, è forse cosa diversa dall’allontanarsi dalla propria libertà e, per cosí dire, abbracciare e stringere tra le mani la propria servitú? Che essi mettano un momento da parte la loro ambizione, che si svincolino un po’ dalla loro avidità, e poi si guardino; prendano in considerazione se stessi: vedranno chiaramente che quei paesani, quei contadini che essi calpestano e trattano da forzati e schiavi, vedranno, dico, che quelli, cosí malmenati, sono piú felici di loro e in qualche modo piú liberi. Il lavoratore e l’artigiano, per asserviti che siano, se la sbrigano obbedendo; ma il tiranno vuole, da quelli che lo circondano, che civettino e mendichino il suo favore. Occorre non solo che facciano ciò che ordina, ma che pensino quello che lui vuole… 


Cosí sembra che, secondo La Boétie, non si tratti tanto di battersi, di «darsi alla macchia», di uscire contro i carri armati e opporre loro splendidi petti nudi, bensí di agire d’astuzia, prendere di contropiede il bestione, organizzare una resistenza passiva, che dovrebbe essere, per la nostra epoca, la chiave stessa della resistenza; e che migliore resistenza passiva oggi di quella della comunicazione, dal momento che il Sistema ce ne dà i mezzi dato che lui, il Sistema, ha bisogno della comunicazione come di ossigeno per sopravvivere? Dice esplicitamente, La Boétie, a noi che disponiamo degli strumenti della comunicazione, non per tenere la testa del popolo sott’acqua ma per tirargliela fuori […]: 


Nello stesso modo i tiranni, piú saccheggiano, piú esigono, piú rovinano e distruggono, piú gli si concede, piú li si serve, e tanto piú si fortificano e diventano sempre piú forti e piú freschi per annientare e distruggere tutto; e se non gli si concede nulla, se non gli si obbedisce affatto, senza combattere, senza colpire, essi restano nudi e disfatti e non sono piú nulla, come il ramo diventa secco e morto non avendo piú radice, umori o alimenti. 


Tante penne, che si dicono ribelli ovvero indomabili, che si vantano di essere una sorta, diciamo, di «veri antisistema» [...],tali penne ribelli sulla carta fanno di questa forma di «servitú volontaria» un carattere centrale del popolo della nostra civiltà. Essi dimenticano di citare questo, che pure La Boétie scrive, [...] che vale per quelli che preferiscono udire piuttosto che ascoltare se stessi per udire solo quello che essi vogliono dire: «Perché il fuoco che mi brucia è quello che mi illumina.» 


Trasposta la frase nella situazione attuale, La Boétie ci dice che l’oppressione che ci costringe oggi «ci illumina» sull’esistenza di questa oppressione. È una delle contraddizioni piú evidenti, e piú significative, dell’attuale situazione, e anche la piú inquietante, la piú pressante, quella davanti la quale gl’imbecilli vanesi e acidi, che fanno professione di rivolta coltivando con cura l’assenza completa di speranza a questo riguardo, fanno la piú completa oblazione di «servitú volontaria». Questi imbecilli acidi e vanesi non vedono che l’esistenza palese e feroce dell’oppressione è proprio questo «fuoco che mi brucia e che m’illumina»; che senza l’oppressione non saprei conquistare la mia libertà, e poiché l’oppressione c’è, so bene come conquistare la mia libertà? [...] 


Philippe Grasset

SERVO E PIÚ S E RVO

Il Covile N°570. Gazzetta. Servo e piú servo.


https://www.ilcovile.it/