mercoledì 30 dicembre 2020

tradurre i testi secondo il principio dell'equivalenza dinamica. La Bibbia della Gioia Nuovo Testamento e Salmi

 




Camminando (utilizzando anche il mio fraterno amico,fratello bastone) lungo le periferie,anche le più estreme,del territorio di casa mia  e fino alle periferie anche le più estreme della macro-aggregazione (oltremodo liquida e fortunatamente non unitaria)  della cristianità mi sono imbattuto nel  metodo di per  sè laico  di tradurre  i testi  come "equivalenza dinamica rispetto al testo originario"  In sè  il disvelamento del metodo è un pò complesso e quindi con sommessa pazienza  ho iniziato a leggere notizie e recensioni  a riguardo .Ho riscontrato  che "Eugene Nida (Oklahoma City, 11 novembre 1914 – Madrid, 25 agosto 2011) è stato un linguista e traduttore statunitense, sviluppò la teoria delle equivalenze dinamiche nella traduzione della Bibbia, è considerato uno dei fondatori della moderna Scienza della traduzione."

https://it.wikipedia.org/wiki/Eugene_Nida


Al momento  ho compreso soltanto 

"L'ideazione di questa teoria nacque come reazione alle traduzioni filologiche della Sacra Scrittura presenti nel panorama letterario del tempo. Egli le considerava troppo vicine al linguaggio originale e quindi poco utili ai suoi scopi di evangelizzazione perché non comune al ricevente. Ciò che interessava a Nida, infatti, non era rendere accuratamente le parole e le strutture grammaticali del testo fonte ma era riuscire a veicolare il messaggio tramite espressioni che fossero funzionali al ricevente della traduzione, chiamato anche lettore target. In altre parole, lo scopo della traduzione doveva essere quello di produrre nel lettore target lo stesso effetto che il testo fonte aveva sul lettore della lingua di origine. Nel caso dell'equivalenza dinamica quindi, la traduzione non è orientata a mantenere l'accuratezza grammaticale dell'originale, ma è animata dal desiderio di trasportare il messaggio adeguandolo alle aspettative e ai bisogni del lettore target, che leggendo il testo tradotto lo troverà affine alla sua cultura e perciò naturale."


Tuttavia all'interno della  bibliografia e nell'ottimo sito

https://www.laparola.net/   ho riscontrato  l'esistenza di una traduzione del Nuovo Testamento e dei Salmi denominata "Bibbia della Gioia"   costruita  secondo il metodo dell'equivalenza dinamica"


"La Bibbia della Gioia è una traduzione in linguaggio corrente del Nuovo Testamento dei Salmi basata sulla "equivalenza dinamica", realizzata grazie al desiderio di un  papà che ha voluto far conoscere ai propri figli l'amore di Dio."


Quindi  sull'ottimo sito già segnalato  ho cercato e riscontrato i brani del NT dalla Bibbia della Gioia.

Per amor del cielo...Non si tratta di traduzione  ecclesialmente autorizzata (e forse questa è la sua forza)  ma un minimo di comparazione come  circuitabilità potrebbe essere  fatto


 Allora  capitolo 1,versetti 1-14 del Vangelo di Giovanni (le Chiese cristiane di Occidente cantano la pericope nella Santa Messa della Notte di Natale, le Chiese cristiane ortodosse cantano la pericope nella Divina Liturgia della Pasqua di Resurrezione )


Testo greco 

https://www.bibbiaedu.it/GRECO_NT/nt/Gv/1/?compareto=CEI2008

1 Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος.

1,2 οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν θεόν.

1,3 πάντα δι’ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν. ὃ γέγονεν

1,4 ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων·

1,5 καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν

1,6 Ἐγένετο ἄνθρωπος ἀπεσταλμένος παρὰ θεοῦ, ὄνομα αὐτῷ Ἰωάννης

1,7 οὗτος ἦλθεν εἰς μαρτυρίαν, ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός, ἵνα πάντες πιστεύσωσιν δι’ αὐτοῦ.

1,8 οὐκ ἦν ἐκεῖνος τὸ φῶς, ἀλλ’ ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός.

1,9 ἦν τὸ φῶς τὸ ἀληθινὸν ὃ φωτίζει πάντα ἄνθρωπον ἐρχόμενον εἰς τὸν κόσμον.

1,10 Ἐν τῷ κόσμῳ ἦν, καὶ ὁ κόσμος δι’ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ ὁ κόσμος αὐτὸν οὐκ ἔγνω.

1,11 εἰς τὰ ἴδια ἦλθεν, καὶ οἱ ἴδιοι αὐτὸν οὐ παρέλαβον

1,12 ὅσοι δὲ ἔλαβον αὐτόν, ἔδωκεν αὐτοῖς ἐξουσίαν τέκνα θεοῦ γενέσθαι, τοῖς πιστεύουσιν εἰς τὸ ὄνομα αὐτοῦ,

1,13 οἳ οὐκ ἐξ αἱμάτων οὐδὲ ἐκ θελήματος σαρκὸς οὐδὲ ἐκ θελήματος ἀνδρὸς ἀλλ’ ἐκ θεοῦ ἐγεννήθησαν.

1,14 Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν, καὶ ἐθεασάμεθα τὴν δόξαν αὐτοῦ, δόξαν ὡς μονογενοῦς παρὰ πατρός, πλήρης χάριτος καὶ ἀληθείας·


TRADUZIONE IN ITALIANA DAL NUOVO TESTAMENTO DELLA BIBBIA DENOMINATA "Nuova Riveduta"


1 Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. 2 Essa era nel principio con Dio. 3 Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. 4 In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. 5 La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta.

6 Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. 9 La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo. 10 Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto. 11 È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto; 12 ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, 13 i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio.

14 E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre


La "Nuova Riveduta ta. 1994, revisioni 1997, 2002, 2006. In continuità con la Riveduta Luzzi del 1924, in quanto questa versione della Bibbia è stata realizzata partendo da una revisione della Bibbia di Giovanni Luzzi da parte della Società Biblica di Ginevra e pubblicata per la prima volta nel 1994. A questa revisione hanno partecipato Bruno Corsani, Bruno Costabel e Salvatore Rapisarda; successivamente è stata ulteriormente rivista...È una Bibbia molto diffusa nel mondo protestante, evangelico ..."

https://it.wikipedia.org/wiki/Nuova_Riveduta


TRADUZIONE  BIBBIA DELLA  GIOIA

1 Prima che esistesse qualsiasi altra cosa, c'era Cristo. 2 Egli era con Dio. Vive da sempre, ed egli stesso è Dio. 3 Egli ha creato tutte le cose; non c'è nulla che non sia stato fatto da lui. 4 In lui c'è la vita eterna, e questa vita dà luce a tutta l'umanità. 5 La sua vita è la luce che splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno ricevuta.

6 Dio mandò Giovanni Battista per testimoniare che Gesù Cristo era la vera luce. 7  8 Lo stesso Giovanni non era la luce; era soltanto un testimone, che poteva riconoscerla e parlarne, perché tutti credessero. 9 Veniva nel mondo colui che è la vera luce per illuminare ogni essere umano.

10 Benché fosse stato lui a creare il mondo, il mondo non lo riconobbe, quando venne.

11 Non fu accettato neppure nel proprio paese, fra la sua gente, i Giudei. Soltanto pochi l'avrebbero accolto e ricevuto. Ma a tutti quelli che lo hanno accolto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio. Tutto ciò che devono fare è credere che Cristo è la loro salvezza. 12  13 Chi crede in questo, nasce di nuovo. Non si tratta di una rinascita fisica, risultante da un progetto dell'uomo, o dalla sua passione, ma di una nascita spirituale per volontà di Dio.

14 E Cristo divenne uomo e visse qui sulla terra, fra noi, pieno di grazia e di verità. E alcuni di noi hanno visto la sua gloria, la gloria del Figlio unico del Padre Celeste.


https://www.laparola.net/testo.php


PS le recensioni che sto raccogliendo  indicano che il metodo dell'equivalenza dinamica   è  anche orientato a tradurre non solo testi biblici  

sabato 26 dicembre 2020

LOGOS E OSCURITÀ Dario Chioli 21/12/2020


Giorgione, Adorazione dei pastori, National Gallery of Art, Washington, D. C.

http://www.superzeko.net/doc_dariochioli_saggistica/DarioChioliLogosEOscurita.pdf?fbclid=IwAR0ckqxzSrTWJHlMKS7FGVzgAZc4aGmc58WTyCPAqWLRLUGyXzUc7z1WQg0


Quello che sarà chiaro a tutti se appena ci riflettono, è che il Logos si fece carne avvolto dall’oscurità, in una stalla-1-, lontano dai potenti e dai sapienti della sua nazione.

Solo gli animali, forse-2-, oltre a sua madre e suo padre, lo videro nascere. E solo i pastori furono avvertiti della sua nascita-3 -e, di lungi, i sapienti di Zoroastro, i Magi -4.-

E i pastori erano segno della sua missione di Buon Pastore, e i Magi della sua missione di Cosmocràtore  -5-

La tradizione ebraica fu rappresentata dal Giuseppe il Giusto, il custode della sacra fami-glia, e da Maria, incarnazione anagogica del Tempio in cui si pronuncia il Santo Nome di Dio.

La terra fu presente con la stalla, con gli animali, con i pastori.

Il cielo fu presente a Betlemme con gli angeli, con il cielo stellato, con i Magi che vi giunsero decrittandone le indicazioni -6-

Ma il parto della Vergine si svolse nell’oscurità - 7- .

Tale oscurità fu sospesa, solo per poco, dall’adorazione dei pastori e da quella dei sapienti, e pur tuttavia questa sospensione costò molto: costò la vita dei Santi Innocenti sterminati da Erode-8- .


Circa trent’anni dopo, la rimozione finale di questa oscurità – la resurrezione di Gesù dopo la sua crocifissione – trasformò il mondo ma costò, per mano dei romani, la vita e la libertà a molti ebrei, il loro esilio e la loro perdita di Gerusalemme  -9-

La manifestazione del Logos non porta infatti la pace, ma la spada-10.-

È vero che l’uccisione del Logos è inefficace, anzi provvidenziale, per il Logos stesso, Gesù infatti risorge e risorgendo compie la sua missione. Ma se è vero che è necessario che lo scandalo avvenga, guai tuttavia a chi lo ha messo in atto -11-; di lì a poco infatti – quarant’anni, il tempo del pentimento – chi non si è pentito e cerca ancora il Messia che è già venuto, viene rimosso dalla sua casa, spinto schiavo in esilio, sottomesso per secoli ai suoi nemici.

Chi aveva capito, chi aveva accettato, non era più a Gerusalemme quando venne abbattuta e resa deserta.

Israele per il cristiano fu da allora un vecchio e venerabile nome ereditato dalla comunità cristiana, il preludio veterotestamentario alla neotestamentaria manifestazione del Logos.

Questo non è naturalmente il punto di vista degli attuali ebrei, cioè di quella parte di essi che ha mantenuto questo nome invece di assumere quello cristiano.

Non si può del resto imputare loro nulla, sono fedeli alla propria santa tradizione e per la maggior parte non discendono da chi invocò la morte del Cristo, e poi Cristo perdonò tutti e non si può far la vendetta di chi perdonò, né sulla progenie dei condannatori né, a maggior ragione, su coloro – la maggior parte, forse tutti – che progenie non ne sono.

E Gesù stesso era ebreo, ebrea sua madre, ebreo Giuseppe, ebrei gli apostoli. Chi insulta gli ebrei insulta Gesù, chi pretende di vendicarsi sugli ebrei si vendica sui parenti di Gesù e sui suoi più intimi amici, rinunciando inoltre – e non è poca cosa – alla possibilità di usufruire delle innumerevoli ricchezze spirituali di cui è ancor oggi detentrice la tradizione ebraica, che è destinata infine a ricongiungersi nella sua totalità a quella cristiana con mutuo arricchimento.

Infatti i doni di Dio non sono mai stati revocati a Israele, sicché l’israelita, che è stato crocifisso nella diaspora e nella persecuzione, è di fatto fratello del cristiano, e vale allora per ambedue la parola divina: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima   a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono»-12-

Senza riconciliazione dei cuori, infatti, la Presenza di Dio entra difficilmente in essi.

Inizialmente, quando cominciò a predicare, Gesù sembrava probabilmente un classico rabbi che predicasse ai suoi correligionari. Ma col passar del tempo la cosa evolvette; respinto da molti suoi conterranei, allargò il raggio d’azione ai gentili finché non spinse ad-dirittura i suoi discepoli, dopo la resurrezione e la discesa del Santo Spirito nella pentecoste, all’evangelizzazione di tutti i popoli.

Ecco, l’Israele del tempo aveva raggiunto l’Israele eterno, e in ciò s’era congiunto con il Cristianesimo eterno, cioè con la via di salvezza universale, per tutte le genti in buona fede.

È questo che Gesù – Logos salvatore – ci insegna: la via universale, che tutto il bene, tutti i simboli del bene, tutte le azioni del bene ingloba, mentre respinge tutto il resto, tutte le leggi e i valori del mondo.

Maree di parole vuote sommergono, oggi come ieri, il mondo, lo rendono profano, oscurato.

Speriamo che questo oscuramento sia preludio alla nascita del Logos, non al massacro degli Innocenti o all’abbattimento del Tempio.

Perché accada questo, bisogna impegnarsi a combattere contro il male, non accettarlo con acquiescenza.

Ma si può combattere il male solo dopo che il Logos sia nato in noi, bestie mute, dandoci l’eloquio e l’intelletto adatti.

Questa è la vera nascita, il vero Natale. La scoperta della spada del Verbo con cui combatteremo il male nell’agone spirituale.

Solo per questa via ci s’incammina alla resurrezione, dove il male non ha più luogo, dove l’incarnazione di Cristo è compiuta.

Possa farsi manifesto e sostare per sempre nel nostro cuore il Signore del mondo


NOTE

1 Luca 2,1-16. 

2 Del bue e dell’asino non parlano i vangeli canonici, ma solo gli apocrifi.

3 Luca 2, 8-20.

4 Matteo 2,1-16.

5 Signore cioè di tutto l’universo, non del solo Israele.

6 Della stella di Gesù sono state date tante interpretazioni. In Matteo 2,1-2 è scritto: «Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”», mentre in Matteo 2,9-10 si dice: «Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima». Ora, varie ipotesi sono state fatte o sono possibili: 1) un miracolo, ma un miracolo che dura così a lungo per tanta gente non è cosa molto credibile; 2) una congiunzione perfetta di Giove e Saturno, ma non sembra corrispondere al testo che parla di una stella al singolare; 3) l’esplosione di una supernova o l’apparizione di una cometa, la cui esistenza è però solo ipotetica; 4) una particolare configurazione astronomica che coinvolga un pianeta maggiore tradizionalmente legato alla regalità, e sembra l’ipotesi più credibile.

In ogni caso il testo evangelico sembrerebbe implicare un corpo celeste che si muove da oriente a occidente e staziona sopra la Giudea vicino a Betlemme, il che può implicare – sia nel caso di una cometa o di una supernova che nel caso più probabile di un pianeta maggiore che si muova su configurazioni astromantiche particolarmente favorevoli – il fatto che tale astro dia l’impressione di fermarsi per il periodo che, osservando da un punto di vista geocentrico, è necessario a invertire la rotta e diventare retrogrado o smettere di esserlo, in un punto del cielo corrispondente astrologicamente a Betlemme o comunque alla Giudea. Ora, secondo la Tetrabiblos di Claudio To-lomeo, alla Giudea corrispondono l’Ariete e Marte (II.3,29.31 e 4,2). Bisognerebbe dunque, se si volesse dar credito a questa ipotesi, indagare a partire da qui le configurazioni celesti degli anni 7-4 a.C. Ma non so se vi siano oggi astrologi in grado di farlo; a giudicare dai loro continui fiaschi predittivi non direi. Del resto i Magi erano ispirati dalla loro sacra tradizione, non collaboravano per pochi soldi alle pagine di qualche giornaletto di oroscopi.

7 Ed egualmente nell’oscurità, sorretti solo dalla maternità di Dio, si compie la nascita del Logos in noi.

8 Matteo 2,16-18. 

9 Tito distrusse il Secondo Tempio nel 70, Masada fu presa nel 73. Nel 135, al termine delle guerre giudaiche, la Giudea era deserta di ebrei e Gerusalemme si chiamava da sessant’anni Aelia Capitolina.

10 Matteo 10,34-36: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa». Dispiacerà forse a molti questa considerazione, pur tuttavia è evidente che l’instaurazione di una nuova tradizione ha sempre comportato effetti anche assai violenti.

11 Matteo 18,7: «Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo!»

12 Matteo 5,23. 

domenica 20 dicembre 2020

Celtic, Renaissance and Medieval Trims https://www.facebook.com/CelticTrims/





"I love the forest. It is the place where you hear yourself better."
- Fahadh Faasil




Detail from the Alchemical and Rosicrucian Compendium.




Floors Castle, Kelso, Roxburghshire, Scotland.








'Blarney Castle, Ireland' landscape painting by Hall Groat.






cottage in Rievaulx, North Yorkshire, England.












Artist: IgnisFatuus.



'Nyx Greek Goddess of the Night' by Emily Balivet.




Celtic Dragon Curtain




giovedì 10 dicembre 2020

Quello che non sappiamo del marxismo di Gianni Scalia- 1968!), che adesso si trova in De Anarchia (Roma, 1989)



http://www.maggiofilosofico.it/1129/

Sarebbe abbastanza exiting (volendo anche noi, cominciando, “civettare” con l’anglo-franco tedesco di Marx) raccogliere in un discreto corpus alcune battute delle lettere significative tra i due attorno a Das Kapital. Eccitante ed edificante (edificante per molti lettori “marxisti”). Queste lettere sono state più volte pubblicate nel carteggio e in proprio, e sono molto note. Ma qui a noi basterà estrarre alcuni campioni, non senza invocare del resto la lettura integrale. 


Engels (in una lettera del 16 giugno 1867) si preoccupa «degli sviluppi più astratti» dell’amico in nome, almeno in parte, dei lettori «filistei» (i soliti specialisti!) e anche di una «categoria molto vasta di lettori»: «il populus, anche quello istruito, non più abituato a questo modo di pensare, e gli si deve venire incontro con ogni possibile facilitazione». Aggiunge che «il progresso nell’acutezza dello sviluppo dialettico è notevolissimo» (rispetto alle prime stesure marxiane della Zur Kritik del 1859 e ai primi fogli a stampa del Capitale I), ma che la «facilitazione», nel senso superiormente didascalico-pedagogico, sarebbe necessaria. E conclude, arrivando al punto: «chi è in grado di pensare dialetticamente, lo capirà lo stesso». 


Ecco, forse, la crux teoretica, storiografica, politica del marxismo (di Marx), dovendo tenere nel debito conto il «je ne suis pas marxiste» pronunciato dal titolare alla fine della vita e a conclusione dell’opera omnia («ancora da scrivere», secondo la confessione a Kautsky). Ma come non citare qualche battuta di risposta di pochi giorni dopo, il 22, in cui, accettando – e mantenendo anche in questo «una linea dialettica» – i consigli e i suggerimenti editoriali-divulgativi (che abbiano trascurato di ricordare), Marx continua: «nella prefazione dico poi al lettore ‘non dialettico’ che può saltare a piè pari le pagine x-y ed invece di queste leggere l’appendice. 


Qui si tratta naturalmente non solamente di filistei, bensì anche della gioventù avida di sapere ecc. Inoltre, la cosa [nella specie «lo sviluppo della forma di valore»; e non possiamo dimenticare che a Kugelmann, l’11 luglio 1868, scriverà: «la scienza consiste appunto in questo: svolgere come la legge del valore s’impone»] è d’importanza troppo decisiva per tutto il libro».


Qui si potrebbe entrare, direttamente, nella querelle Hegel-Marx: non mai finita. (Ed è vero che i grandi pensatori condannano la posterità alla glossa perpetua). Probabilmente, in modo più semplice, bisognerà ricordare, sull’autorità di qualche battuta, che il corpus marxiano vuole sempre «un lettore dialettico», «sviluppi più astratti»; senza dimenticare, neppure, le esigenze «della gioventù avida di sapere». «A forza di astrazione», si dice in una delle prefazioni del Capitale. (Viene in mente, irresistibilmente, se non apparirà illecito in questo contesto, l’affermazione baudelairiana che le «astrazioni» sono le cose più concrete).


E’ stata più volte citata, anche, con giustificato scandalo, una lettera  di Marx del 7 dicembre 1867, in cui si proporrebbe ai lettori (dialettici e non) una critica del Capitale: «Per quanto concerne il libro stesso, si debbono distinguere due cose, gli sviluppi positivi dati dall’autore, e le conclusioni tendenziali che egli trae. I primi, essendo trattati i rapporti economici effettivi secondo un metodo materialistico, del tutto nuovo, sono diretti arricchimenti della scienza… Per quanto ora riguarda la tendenza dell’autore, si deve procedere a nuove distinzioni. Se egli dimostra che la società odierna, considerata dal punto di vista economico, è pregna d’una nuova forma superiore, egli non fa che dimostrare socialmente lo stesso graduale processo d’evoluzione che Darwin ha dimostrato dal punto di vista della storia naturale… 

Al contrario la tendenza soggettiva dell’autore – egli era legato ed obbligato ad essa forse dalla sua posizione di partito e dal suo passato – vale a dire la maniera in cui presenta a sé e agli altri il risultato finale dell’odierno movimento, dell’odierno processo sociale, non ha nulla affatto a che vedere con il suo sviluppo effettivo. Se lo spazio permettesse di addentrarci di più nell’argomento, potrebbe forse venir dimostrato che il suo sviluppo “obiettivo” confuta le sue proprie fantasie “soggettive”».


Forse è qui il «segreto» del marxismo? […]


Mi riesce difficile, confesso, non partecipare all’opinione del giovane Lukacs “maledetto” di Scienza e coscienza di classe, secondo cui il marxismo è la più grande critica come “autoconoscenza critica” della società capitalistica («autocritica della società borghese», diceva il Marx della Einleitung del ’57). 


Certo, la società borghese-capitalistica conosce molti tipi di “critica”: razionalistica e irrazionalistica, regressiva e progressiva, “genealogica” e “archeologica”. Ma solo in Marx detiene la critica dialettica, cioè totale e pratica, dopo tutti i corti circuiti.


Un segreto che è un compito. Non può non pensare-agire le contraddizioni della società capitalistica. Se le ipotesi centrali sono la scoperta delle contraddizioni storico-determinate; la scoperta, ancora, che l’«oggetto» del discorso è quello che si vuole distruggere e che quello che si vuole distruggere è l’«oggetto» del discorso; la scoperta infine che questa scoperta è dalla parte degli «oppressi» dalle contraddizioni; se queste, dunque, sono  le ipotesi centrali, il marxismo è una permanente oggettività tendenziosa.


Il marxismo è una scienza che non si identifica nella ma si  realizza con la praxis. Scienza a partire da e secondo gli oppressi; che deve realizzarsi, non è già realizzata in loro.


Il marxismo è «insuperabile» (e non nel senso sartriano, se non nelle intenzioni, di «indépassable») come «la critica spregiudicata di tutto ciò che esiste, spregiudicata in quanto la critica non si atterrisce di fronte ai suoi risultati e nemmeno di fronte al conflitto con le forze esistenti»; come «la critica che sta in mezzo alla mischia», che «rende ancor più oppressiva l’oppressione reale con la consapevolezza dell’oppressione e ancor più vergognosa la vergogna dandole pubblicità» (secondo che scriveva il giovane Marx); come «scandalo e orrore per la borghesi e per i suoi corifei dottrinari» (secondo che scriveva il Marx maturo). 


E’ la teoria degli oppressi e degli sfruttati; come teoria della praxis, non solo della pratica. Certo la praxis (rivoluzionaria) non elimina i compiti della teoria; ma dissolve i (presunti ) compiti teorici prima della praxis rivoluzionaria. Bisogna comprendere la frase di Marx che la filosofia si realizza sopprimendola, e si sopprime realizzandola.


La validità «scientifica» è nel far coincidere praticamente «essenza» e «apparenza»; nel decifrare il «geroglifico sociale» per scoprirne, insieme, la necessità e la non necessità. Che nel marxismo  scienza e decisione-scelta coincidano, ecco uno degli «scandali e orrori» del capitale e della scienza che è per-il-capitale, La critica solo teorica ritorna su se stessa, perfecta reditione. (Alla fine della Miseria della filosofia «l’ultima parola della scienza sociale è: il combattimento o la morte; la lotta sanguinosa o il nulla”).



sabato 5 dicembre 2020

I grandi vecchi della Repubblica: Gianni Berengo Gardin, novant’anni da un mese, il maestro italiano della fotografia


Un’altra immagine di Berengo Gardin, intento a potare le piante del suo giardino, scattata dalla figlia Susanna


https://www.mariocalabresi.com/stories/la-benzina-della-mia-vita/


«Questo tempo che stiamo vivendo per me ha una sola immagine, che non riesco a togliermi dagli occhi, le persone con il casco dell’ossigeno in testa. Mi ricorda le Madonne che venivano messe dentro le cupole di vetro, lo si faceva una volta per proteggerle dalla pioggia, ma queste cupole di plastica mi fanno molta impressione e paura». Gianni Berengo Gardin, novant’anni da un mese, il maestro italiano della fotografia, mi parla dal telefono fisso della sua casa di Camogli. Dovevamo vederci a Milano per presentare insieme, durante “Bookcity”, la sua autobiografia. Poi è arrivata la seconda ondata e l’incontro è stato cancellato, ma non volevo perdere l’occasione di ascoltare i racconti della sua vita.

Siamo partiti dalla foto simbolo che sceglierebbe per rappresentare l’epidemia e lui non mi ha indicato una delle tante immagini dell’assenza, come la sua Venezia deserta senza le grandi navi e senza turisti, ma qualcosa che ci parla della sofferenza umana. «Perché non abbiamo bisogno di foto estetiche ma di qualcosa che abbia un significato forte, e perché ho una paura pazzesca del virus. Non mi vergogno a dirlo, ma ho una paura che non te la puoi immaginare». Parla con una voce decisa, forte: «Non ho voglia di andarmene. Sono attaccato alla vita perché trovo che la vita sia una cosa meravigliosa, anche quando ti va male, anche nei giorni neri. Io non ho paura della morte ma mi secca l’idea di morire, perché significa abbandonare tutte queste cose meravigliose. Voglio vedere ancora i miei alberi fiorire e dare frutto. Voglio ancora vedere le stagioni cambiare».


Mi racconta che avrebbe dovuto essere a Milano, doveva fare dei lavori nel suo archivio, andare in giro a presentare il libro e preparare una mostra con Roberto Koch, invece tutto è congelato. Gli chiedo che effetto gli faccia questo tempo rubato: «Un po’ di rabbia me la fa, perché quando si è molto vecchi il tempo rimasto è poco, ma non così tanta come potresti pensare, a novant’anni uno si adatta a tutto pur di rimanere su questa Terra. Sono in Liguria bloccato dal virus ma sto bene perché ho un pezzetto di terra e sto tutto il giorno all’aria aperta».

Non riesco a immaginare il fotografo delle città, dei temi sociali, della denuncia dei manicomi in contemplazione della natura: «In effetti per molto tempo della natura non me ne fregava niente, né fotografarla né viverla. Volevo sempre fare lavori sociali, sull’uomo. Pensa che abbiamo questa piccola casa a Camogli da cinquant’anni ma io ci venivo quattro giorni intorno a Ferragosto e cinque a Natale. Mai. Per me non esisteva, amavo solo le città. Poi con l’età mi è venuta una passione per la natura fortissima e nel pezzettino di terra davanti a casa ho piantato 25 alberi, non diecimila come ha fatto Salgado in Brasile, ma tutto il possibile nello spazio che avevo. Sono alberi da frutta: pompelmi, aranci, limoni, un melograno, 20 tipi di piante diverse. La soddisfazione più grande è la fatica fisica: scavare un buco, piantare un albero e poi curarlo, innaffiarlo, potarlo. Faccio tutto da solo, non ho un giardiniere, mi fa stare benissimo. Non capisco nemmeno io cosa mi sia successo, ma mi rilassa e mi fa bene».

Il Berengo giardiniere però non ha preso completamente il posto del Berengo fotografo: «Sto facendo un piccolo lavoro qui a San Fruttuoso, intorno all’Abbazia. È un libro sul borgo, sulle 20 persone che continuano a viverci tutto l’anno. Li fotografo nelle loro case e mentre lavorano, c’è un pescatore che d’estate fa la guida turistica e d’inverno esce in barca, c’è una signora con un banchetto, uno che tiene aperto il ristorante tutto l’anno, un giornalista che ha scelto di vivere nel borgo. D’estate naturalmente la popolazione raddoppia, la barca arriva ogni ora e i ristoranti aperti sono tre, ma nel resto dell’anno il traghetto attracca solo due volte al giorno.

Ho scattato anche a luglio e agosto, ritraendo la folla dei turisti sulla spiaggia, ma ho provato fastidio perché la gente scendeva dalla barca e andava a fare il bagno senza nemmeno visitare l’abbazia. A me la mancanza di cultura e di curiosità fa rabbia. Così sono andato a girovagare nel bosco e la spiaggia sono tornato a fotografarla in autunno e d’inverno. È un luogo con un’atmosfera incredibile, non ci sono costruzioni nuove, solo l’abbazia appena restaurata, le case di una volta e un vecchio mulino».

Mi spiega che questo libro lo sta facendo per la libreria “Ultima Spiaggia” di Camogli, il proprietario – Fabio Masi – è anche un piccolo editore: «Ti chiedi perché mi sia messo al lavoro per lui? Perché ha avuto l’idea e perché me lo ha chiesto e perché i libri di fotografia sono stati tutta la mia vita».

A partire da quel pacco di libri che ricevette all’inizio degli anni Cinquanta: «Me li aveva spediti uno zio che faceva lo psichiatra tra Boston e New York. Era molto amico di Cornell Capa, il fratello di Robert che allora lavorava per la rivista “Life” e poi avrebbe fondato l’Icp (International Center of Photography), e gli chiese quali libri mandare a un nipote italiano che era fotoamatore. Mi arrivarono i volumi di “Life”, scoprii la capacità di raccontare la società attraverso Eugene Smith e rimasi sconvolto dal progetto “Farm” fatto sulla povertà rurale tra gli anni Trenta e Quaranta, dopo la Grande Depressione. Grazie a questi libri ho capito che la fotografia deve essere sociale. Ho capito in un’ora che i miei paesaggi poetici non valevano niente, che i riflessi nell’acqua del lago erano inutili e da quel momento la foto dell’uomo è diventata la mia stella polare. Sono profondamente cambiato grazie a quel pacco di libri arrivato dall’America».

Gli chiedo con che definizione vorrebbe essere ricordato: «Non voglio che di me si dica che sono stato un artista ma uno che ha fatto foto di documentazione. Purtroppo, i giovani pensano che la definizione artista per un fotografo sia un complimento. Ma non vi sbagliate, fate documentazione, raccontate la realtà che vi circonda, anche sotto casa. Non c’è bisogno di andare in Paesi lontani: le foto non sono migliori se il luogo è esotico. Aprite gli occhi».

All’arrivo del Sessantotto, Berengo fotografò le occupazioni e le manifestazioni, ma il lavoro di cui va più fiero è quello sui manicomi che diventerà il libro “Morire di classe”. «Avevo conosciuto Franco Basaglia, il padre della legge che ha cambiato gli ospedali psichiatrici italiani, quasi per caso, accompagnando Carla Cerati che doveva fotografare per “L’Espresso” il manicomio di Gorizia, di cui Basaglia era direttore. Lui rimase colpito dal nostro lavoro e nacque l’idea di un libro sulla situazione dei manicomi in Italia. La mia intenzione era mostrare le condizioni in cui erano tenuti i malati, non la malattia in sé, mi interessava far vedere lo stato di deprivazione e umiliazione in cui quelle persone versavano.

Fu un lavoro molto difficile. Al manicomio femminile di Firenze riuscimmo a entrare solamente grazie all’aiuto di alcuni medici che ci fecero passare come parenti durante gli orari di visita. Quella fu l’esperienza peggiore di tutte, le condizioni erano terrificanti: le donne abbandonate a loro stesse, scalze, sporche, insaccate in informi camicioni grigi, lasciate a rotolarsi per terra e costrette nelle camicie di forza. Il nostro libro fu presentato anche in Parlamento e sono orgoglioso, tanti anni dopo, di poter dire che con la mia fotografia ho contribuito al movimento di opinione che portò all’approvazione della legge che chiuse quei luoghi terribili».

Per anni Gianni ha fotografato anche gli zingari, un lavoro lungo e paziente lungo tutta la Penisola per documentare la loro cultura e le loro tradizioni: «Sono stato nei campi regolari come negli accampamenti, ho partecipato ai matrimoni e alle feste con le orchestrine e ho scoperto un mondo pieno di sfumature. Quando ho cominciato, non ti nascondo che anch’io avevo un sacco di pregiudizi e preconcetti, ma li ho persi per strada. Questo non significa che alcuni non rubino, anche loro me lo dicevano, ma non può essere l’etichetta di un popolo. Come se tra noi non ci fosse chi ruba, e se leggo i giornali mi viene da dire ogni giorno: “E che ladri!” Sono poeti fantastici, musicisti e hanno una cultura raffinata. Ci siamo dimenticati dello sterminio del popolo Rom da parte dei nazisti, nei campi di concentramento Hitler ne ha ammazzati 500 mila, del loro genocidio non si parla quasi mai. Mi stanno particolarmente a cuore».

Guardando le sue foto penso al meraviglioso lavoro sugli zingari fatto da Josef Koudelka e gli chiedo della loro amicizia: «Mi ha molto ispirato, per anni Josef ha dormito nel mio salotto, era un girovago senza casa e soprattutto senza biblioteca. Siccome negli anni io ho raccolto quasi duemila libri di fotografia, quando a mezzanotte lo salutavo per andare a dormire lui si metteva a sfogliare e leggeva libri per tutta la notte. Stava sveglio per ore e lo trovavo la mattina addormentato in mezzo ai volumi».

Gli amici per Gianni Berengo Gardin sono anche dei maestri e sono sempre stati una continua fonte di ispirazione: «È importante avere molti amici con cui scambiare, da tutti impari qualcosa. Ho imparato molto da Ugo Mulas, da Salgado e da Koudelka. Josef mi ha insegnato che le fotografie devono avere una storia, altrimenti sono foto vuote, solo estetiche».


«Un giorno andai a casa di Ugo Mulas, ero appena arrivato a Milano da Venezia, a vedere le sue foto. Davanti a ogni immagine io dicevo: “Bella”. Ad un certo punto si bloccò e all’improvviso mi disse: “Se dici ancora una volta ‘bella’ ti butto fuori di casa”. Imbarazzato risposi: “Ma mi piacciono davvero e cosa dovrei dire delle tue foto, se non che sono belle e buone?” “Ecco, che una foto è buona lo puoi dire”. Imparai quel giorno che c’è una differenza enorme tra le due cose: una foto bella può essere perfetta, ma non dice niente, una foto buona invece, anche leggermente mossa o sfocata, ti racconta qualcosa e ti lascia un’emozione. Io ho cercato di fare foto buone ma, per lavoro, ho dovuto anche fare tante foto belle».

E da Cartier Bresson cosa hai imparato? «Ti farò ridere, ma lui mi ha regalato l’autostima. Un giorno mi fece una dedica su un suo libro e scrisse: “A Gianni con simpatia e ammirazione”. Quando la lessi, pensai: “Posso anche morire stasera che muoio felice della sua ammirazione”».

Il libro, appena pubblicato da Contrasto, è un racconto intimo e delicato della sua vita, racconta lo sguardo e il pensiero del fotografo, non le sue fotografie: «Il merito è di mia figlia Susanna: io sono timido e di poche parole, non mi propongo mai e parlare del passato è sempre stato difficilissimo. Mia figlia, con pazienza, mi ha tirato fuori i ricordi, è stata molto brava. Io ho sempre guardato al futuro, non ho mai perso tempo con il passato, accettavo solo nuovi lavori, nuove cose, per questo sono riuscito a fare 260 libri, non mi sono mai occupato del passato e dell’archivio. Per la prima volta ho dovuto ricordare e ricostruire. E il bilancio è soddisfacente, sono riuscito a realizzare tutti i progetti che avevo in testa. A dire il vero tutti tranne uno: il libro che non sono riuscito a fare riguarda le feste e i riti degli ebrei. È il lavoro che mi manca, mi spiace, mi affascinava molto, ma non sono riuscito a trovare un’occasione e qualcuno che mi facesse da guida in quella cultura».

Non sembra essere mai stanco, anzi ama la fatica, racconta che lavorava “come una bestia”: «Partivo in macchina alle 5 di mattina da Milano, fotografavo fino a quando era buio e poi tornavo a casa che era notte. Il mio vantaggio è stato di fare le cose con passione, con questo spirito potrei dirti che non ho lavorato un giorno in vita mia. La fotografia è stata la benzina della mia vita, la cosa che più me l’ha colorata e che mi ha fatto correre ogni giorno».

venerdì 4 dicembre 2020

Ma lo notte No .... Presiede Renzo Arbore


https://www.bing.com/videos/search?q=youtube+quelli+della+notte&ru=%2fvideos%2fsearch%3fq%3dyoutube%2bquelli%2bdella%2bnotte%26FORM%3dAWVR&view=detail&mid=23C83CD2950C3CCDB78E23C83CD2950C3CCDB78E&rvsmid=534C51C162DD4CC24836534C51C162DD4CC24836&FORM=VDMCNR 

Ogni giorno la vita

E' una grande corrita

(Ma la notte no!)

Ogni giorno è una lotta

Chi sta sopra e chi sotta

(Ma la notte no!)

Il mattino è un po' grigio

Se non c'e' il dentifricio

(Ma la notte no!)

Tu ti guardi allo specchio

E ti sputi in un ecchio

(Ma la notte no!)

Poi comincia il lavoro

E dimentichi il cuoro

(Ma la notte no!)

Parli sempre e soltanto

Delle cose importanto

(Ma la notte no!)

E ti perdi la stima

Se non trovi la rima

(Ma la notte no!)

Ti distrugge lo stress

E dimentichi il sess

(Ma la notte no!)

Che stress, che stress

Che stress di giorno

(Ma la notte no!)

Che stress, che stress

Che stress di giorno

(Ma la notte no!)

Che stress, che stress

Che stress di giorno

(Ma la notte no!)

Che stress, che stress

Che stress di giorno

(Ma la notte no!)

Giorno mi tormenti cosi

Giorno mi fai dir sempre si...

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!

Lo diceva Neruda

Che di giorno si suda

(Ma la notte no!)

Rispondeva Picasso

Io di giorno mi scasso

(Ma la notte no!)

E per questa rottura

Non si trova la cura

(Ma la notte no!)

Il morale s'affloscia

La pressione s'ammoscia

(Ma la notte no!)

S'ammoscia, s'ammoscia

S'ammoscia di giorno

(Ma la notte no!)

S'ammoscia, s'ammoscia

S'ammoscia di giorno

(Ma la notte no!)

S'ammoscia, s'ammoscia

S'ammoscia di giorno

(Ma la notte no!)

S'ammoscia, s'ammoscia

S'ammoscia di giorno

(Ma la notte no!)

Giorno mi tormenti cosi

Giorno mi fai dir sempre si...

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte

Ma la notte, ma la notte no!