mercoledì 29 dicembre 2021

Intervista allo psichiatra Eugenio Borgna sull'insostenibilità della solitudine della morte in pandemia



Ai No Vax dico: abbiamo l'obbligo di difendere la vita"


https://www.huffingtonpost.it/entry/ai-no-vax-dico-abbiamo-lobbligo-di-difendere-la-vita_it_61cc0c67e4b0bb04a634cec3?utm_hp_ref=it-homepage


Pubblico alcune parti dell'intervista


Con Basaglia, rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia arrivò ad attuare la 180, per Norberto Bobbio ‘la Legge più rivoluzionaria di sempre’. Passare da un impianto manicomiale a uno territoriale mise al centro del nostro lavoro l’ascolto, il dialogo, la percezione dei silenzi, la vicinanza al dolore. Se ci fossero stati ancora i manicomi, penso a quelli di Roma, Milano e Genova, con lo scoppio della pandemia avremmo assistito a un’ecatombe. La territorializzazione, nonostante tutto, ha saputo rendere meno tragica la condizione dei più deboli, dei più indifesi”.


C’è anche chi va incontro alla morte accettando il rischio di non vaccinarsi. Sa che ci si può infettare, finire in terapia intensiva e morire, ma la paura del vaccino vince la paura di morire. È davvero incomprensibile come l’uomo possa far male a sé stesso e all’altro, dimenticando che siamo comunità o non siamo, che il dolore riguarda tutti, che nessuno può salvarsi da solo. La scienza indica come proteggerci e come proteggere, come sfuggire al drago dell’oblio. Perché non ascoltarla? A chi dovremmo prestare ascolto in un tempo così cupo? Agli imbonitori? A chi vuole mobilitare le coscienze giocando con la storiella dei complotti? Dobbiamo difendere la vita. Abbiamo l’obbligo di difenderla”.


“Non posso fare a meno di Sant’Agostino, delle parole che il Cardinale Martini, per restare nella sfera della spiritualità, ha scritto su Sant’Agostino. Leggo Georges Bernanos, Teresa d’Avila, Thomas Mann. Leggo Emily Dickinson, Cristina Campo, George Trakl, Antonia Pozzi. Se le parole sono creature viventi, le loro parole, i loro scritti ci accompagnano nella fatica quotidiana, nella complicata lettura delle contraddizioni dell’umano”.

venerdì 24 dicembre 2021

GULAG E ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA


"la completa estraneità della Russia stalinista a rapporti sociali di produzione socialisti. La Russia cosiddetta sovietica non fu mai socialista, né in senso “ideale”, ovviamente, né in senso “reale”. Per il Partito di Lenin e di Trotsky si trattava di resistere al potere in attesa che la tanto sospirata rivoluzione in Occidente (soprattutto in Germania) venisse a salvare la Russia dei Soviet dall’isolamento e dalla miseria sociale che rischiavano di precipitarla nel baratro della controrivoluzione, cosa che infatti avvenne sotto il miserabile velo del “socialismo in un solo Paese”; per  il Partito di Stalin si trattò invece di costruire un moderno capitalismo a tappe forzate e accelerate, anche per fondare nel più breve tempo possibile l’imperialismo russo su solide basi, dopo il disastroso crollo dell’Impero zarista. Lo stakhanovismo fu solo uno degli aspetti, quello “ufficiale”, che assunse a quei tempi lo sfruttamento intensivo dei lavoratori russi da parte del Capitale. Il capitalismo con caratteristiche sovietiche non fu certo un pranzo di gala – soprattutto per i lavoratori e per i “dissidenti politici”... «A chi si stupisce per l’impressionante continuità geopolitica tra la Russia zarista, quella sovietica e l’attuale Federazione sfugge evidentemente la continuità storica che lega quelle tre esperienze sociali/nazionali, e questo si spiega soprattutto con il presunto carattere “socialista” dell’ex Unione Sovietica, la cui natura radicalmente (esclusivamente) capitalistica stenta ancora a farsi spazio nella testa degli economisti, dei sociologi e dei politologi che studiano l’”eterna” Russia».(Sebastiano Isaia 


L'intero articolo che inizia con una lunga citazione dello scrittore bielorusso Viktar Martinovič (dissidente)  sta in

https://sebastianoisaia.wordpress.com/author/sebastianoisaia/

venerdì 26 novembre 2021

Per riflettere "Adam Gopnik, Il manifesto del rinoceronte. L’avventura del liberalismo, Guanda 2020, pp. 288, 20,00 euro, eBook 10,99 euro





Erano un po’ come Marx ed Engels, di cui furono contemporanei, con la differenza che non erano comunisti arrabbiati ma liberali (non è una differenza da poco) e con la différence che John Stuart Mill era un uomo e Harriett Taylor una donna (e anche questa era una bella différence). Si conobbero quand’erano entrambi già sposati. Vedevano le cose del mondo nello stesso modo: le ingiustizie (sociali, politiche e culturali) andavano abrogate, evitando però che la loro soppressione ne originasse di nuove, come nei calcoli (sempre sbagliati) degli utopisti. Cominciarono a scambiarsi opinioni, poi a collaborare e infine (galeotto il liberalismo) intrecciarono una relazione adulterina. S’incontravano allo zoo di Londra, davanti alla gabbia del rinoceronte, dove tutti guardavano la grande bestia e nessuno badava a loro. Era lì che parlavano d’amore e di libertà, di condizione umana, dei diritti del popolo in generale e dei diritti delle donne in particolare (Harriett Taylor pubblicò nel 1851 il primo manifesto femminista, La liberazione delle donne, il Melangolo 2012, da cui ogni altro moderno progetto femminista deriva). Alla fine, dopo avere divorziato dai precedenti consorti, si sposarono, testimone il rinoceronte. Taylor morì molto presto, Stuart Mill ne fu devastato. 

Giornalista in forza al New Yorker, autore di memoir e saggi storici, penna «colta e brillante», il canadese Adam Gopnik affianca il rinoceronte alla Statua della Libertà promuovendolo, ex aequo, a simbolo del liberalismo. Massiccio e goffo, ma soprattutto concreto e indubitabile, il rinoceronte è la perfetta antitesi dell’unicorno, animale utopico, da cartone animato. Entrambi hanno un solo corno, ma le somiglianze finiscono qui: l’unicorno è una creatura immaginaria, che come l’utopia promette l’irraggiungibile e la luna nel pozzo, mentre il rinoceronte esiste veramente e le sue azioni, come le riforme lente e profonde del liberalismo, hanno conseguenze nella realtà. Bravo come sempre, Gopnik mette in scena nel suo Manifesto del rinoceronte la storia del liberalismo moderno e dei suoi arcinemici (prima il cristianesimo in tutte le sue declinazioni, poi i totalitarismi del XX secolo e oggi il radicalismo di sinistra, il conservatorismo di destra e il fondamentalismo islamico) attraverso le avventure dei suoi campioni. Michel de Montaigne, Harriett Taylor e John Stuart Mill, gl’illuministi francesi e i costituzionalisti americani, David Hume e Adam Smith (alla cui amicizia è dedicato Il miscredente e il professore di Dennis C. Rasmussen, appena pubblicato da Einaudi): Gopnik intreccia sapientemente filosofia, idee politiche e storie personali dei fondatori del pensiero liberale in un racconto incalzante. 

Preso in parola, l’umanesimo diventa una storia umana, di donne e uomini che trasformano le idee in esperienze e le esperienze in idee e propositi. Oltre ai grandi pensatori liberali, nel Manifesto del rinoceronte si muovono, come personaggi solo apparentemente secondari in un romanzo-fiume, anche i protagonisti delle avventure e delle grandi campagne liberali: lo schiavo fuggiasco Frederick Douglass, che fu un protagonista della guerra contro la secessione degli stati schiavisti in America; l’anarchica (e in gioventù filoterrorista) Emma Goldman, che vide le streghe nella Russia del comunismo di guerra e che trascorse il resto della sua vita in Canada, da liberale; la grande scrittrice femminista Mary Ann Evans, che firmò beffardamente le sue opere, tra cui il classico Middlemarch, con uno pseudonimo maschile, George Eliot; l’attivista nero Bayard Rustin, ex comunista e omosessuale, che fu la mente (Martin Luther King ne fu il braccio) della marcia su Washington del 1963, protagonista delle lotte non violente per i diritti dei neri e dei gay, emarginato dal «potere nero», scomparso nel 1987. 

Mentre non rimane traccia, a parte le rovine, delle società costruite intorno alle utopie degli unicorni di destra e di sinistra, dei nazionalsocialismi e dei socialnazionalismi, del Terzo Reich come del socialismo in un solo paese, le riforme «lente e profonde» messe all’ordine del giorno dal rinoceronte liberale hanno cambiato il mondo, e lo hanno cambiato in meglio. Nessuno, esclusi gli unicorni di destra, mette più in discussione, due secoli dopo il Saggio sulla libertà che John Stuart Mill dedicò alla memoria di Harriett Taylor, i diritti delle donne, dei neri, dei gay, delle minoranze. Nessuno, a parte gli unicorni di sinistra, disprezza il popolo per le sue arretratezze culturali, per il suo rifiuto della sessualità «fluida», per le sue «opinioni ingenue», perché preferisce le telenovelas alla supercazzola di Jacques Derrida. Se i populisti di destra, «da Donald Trump a Berlusconi», sono tutti «in parte gangster e in parte clown», ci vuole un radical di sinistra, racconta Gopnik, per trasformare le coste del New Jersey nel set d’un film «de paura». Accorsa al salvataggio delle foche, cui è oggi vietato dare la caccia, la sinistra rococò ha fatto un fischio agli squali, che ora infestano quelle acque, cibandosi di foche e di surfisti

martedì 2 novembre 2021

tra ironia e parodia-Paul Watzlawick- Istruzioni per render- si infelici (edito da Feltrinelli):



“È giunta l’ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità”.

 



Paul Watzlawick è noto per aver scritto

La pragmatica della comunicaìzione umana , uno dei testi fondatoridell’approccio sistemico in psicologia.

Al lettore italiano è tuttavia disponibile un libretto molto interessante e semiserio dal titolo
Istruzioni per rendersi infelici. (edito da Feltrinelli): l’autore tesse un elogio paradossale dell’importanza dell’infelicità e offre una sorta di manuale per costruirsi una vita infelice. 

Per leggere il libro di Watzlawick servono un paio di ingredienti.

Il primo è una grande dose di ironia: evidentemente la sottolineatura del valore dell’infelicità e il genere letterario del manuale sono solo due espedienti letterari per porre la questione della felicità, di cui si fa una sorta di parodia. 
La parodia è uno stile interessante:strappando un sorriso e ingigantendo comicamente le questioni, è capace di porre i problemi sotto angolature originali. Nel sostenere comicamente che l’infelicità è necessaria alla società e che occorre fare di tutto per conservarla, lo psicologo propone un’efficace posizione del problema di una 
strutturale irrisolutezza dei meccanismi sociali, ma nella logica di un superamento.La seconda premessa necessaria alla lettura è
l’autoironia
il libretto, con una scrittura leggera e simpatica, affronta questioni spinose, stili di comportamento consolidati, urgenze di cambiamenti che potrebbero indisporre il lettore che abbia preventivamente blindato la propria personalità, precludendo ogni possibile cambia-mento. 
Per chi si pensa in uno stato di perfezione quasi angelica o per chi ormai è sceso a patti con ciò che lo fa soffrire e preferisce uno stato di accettabile tristezza piuttosto che il rischio di una debordante gioia, le ironie di Watzlawick potrebbero suonare quasi come dissacranti(MANUEL BELLI)

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Paul Watlawick, filosofo e psicologo austriaco, è tra i maggiori esponenti della scuola di Palo Alto, con la quale si occupò di pragmatica della comunicazione. Nato come seguace della psicoanalisi junghiana, fu poi tra i fondatori dell’approccio sistemico.

“Istruzioni per rendersi infelici” è un saggio in cui Paul Watzlawick espone un atipico elogio della felicità che passa attraverso l’analisi dell’infelicità.

“Se siete intossicati per aver seguito scrupolosamente una mezza dozzina di improbabili ricette per la felicità, se ne avete abbastanza dei dissennati consigli di guru e sessuologi, tecnocrati e maestri di vita, delle prediche sull’essere anziché l’avere e sulla pace interiore, questo libro fa per voi. E’ giunta l’ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità”

Watzlawick esalta tutti quei meccanismi, tipici della quotidianità di ogni essere umano, che gli permettono di essere infelice. Parla di comunicazioni sbagliate, di convinzioni talmente radicate da portare a “profezie che si autoavverano”, di uomini destinati all’infelicità.

Lo fa in modo preciso, analizzando ogni dettaglio che porta l’uomo a credere alla sua infelicità. Lo fa in modo talmente preciso da spingere a credere che in realtà l’infelicità non sia poi così semplice da raggiungere.

Un saggio geniale che si conclude in un modo, forse, un po’ scontato. Raggiunta l’apoteosi dell’infelicità, la soluzione, l’unica e la più semplice è una; quella già trovata da Dostoevskij nei suoi “Demoni”:

L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Soltanto per questo. Questo è tutto, tutto!


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Non si tratta di un testo pessimistico, anzi.

L’intento dell’autore è quello di procedere a rovescio, utilizzando anche i meccanismi dell’ironia. Con questo testo, come dichiara il titolo, si danno istruzioni per essere infelici, con sé stessi e con gli altri. Se la ricetta per la felicità non esiste, anzi è difficile persino definire il concetto stesso di felicità, che appare del tutto soggettivo, capire dove si sbaglia forse è molto più semplice.

Con “Istruzioni per rendersi infelici” Watzlawick analizza e spiega tutti quei meccanismi, spesso inconsci e automatici, attraverso i quali causiamo la nostra stessa infelicità e sofferenza. Mette in evidenza le manie, le fissazioni e quei circoli viziosi che noi stessi alimentiamo, rinunciando alla nostra serenità. Definisce quei comportamenti che mettiamo in atto, giorno dopo giorno, in uno schema prefissato, che non siamo in grado di rompere, e che condizionano pesantemente la nostra stessa esistenza.

In un certo senso, il testo può essere diviso in due parti. Nella prima si discute riguardo i modi attraverso i quali è possibile rendersi infelici “da soli”, in modo autosufficiente. In una seconda parte, invece, si trattano più nello specifico le relazioni di coppia. In questo articolo ci occuperemo dei capitoli relativi all’infelicità autosufficiente. Per l’infelicità di coppia se ne parlerà più avanti, in un secondo approfondimento.

Restare rigidamente fedeli a sé stessi

Il primo capitolo è dedicato a quello che Watzlawick definisce “sublime ideale” per i suoi lettori che cercano una condizione perfetta di infelicità. È una condizione che ci si procura “restando fedeli a sé stessi”, che significa una coerenza portata al limite.

Tutto si basa sulla convinzione che esista un unico punto di vista accettabile e valido: il proprio. Si tratta di una convinzione che porta con sé una estrema rigidità, l’incapacità di scendere a compromessi e di essere più duttile, cercando altre prospettive o soluzioni, chiudendosi a ogni possibilità.

Scrive Watzlawick che tra l’essere e il dover essere, chi pensa e si comporta secondo questo principio sceglie sempre il dover essere, come vorrebbe che il mondo fosse e lo rifiuta per come è nella realtà. In lui la riluttanza diventa persino fine a sé stessa. Arriva a rifiutare i consigli altrui per il solo fatto che si tratta di consigli, anche quando sono espressi nel suo stesso interesse. Nella forma più estrema di questo atteggiamento, si rifiutano persino le proprie stesse raccomandazioni. “Il serpente cioè non solo morde la coda, ma divora se stesso” conclude l’autore.

Essere infelici restando ancorati al passato
Viene poi la parte che Watzlawick intitola “Quattro giochi con il passato”. Si tratta di un interessante capitoli in cui l’autore sviscera tutti quei meccanismi mentali e psicologici che hanno a che fare con il tempo e i ricordi. In primo luogo, uno dei modi attraverso i quali ci si garantisce una dose di dolore quotidiana è l’abitudine a idealizzare il passato, trasfigurandolo nella stagione più bella della propria vita. Così subentra il rimpianto per un’età perduta, che non può più essere recuperata, quella della giovinezza.

In questa dimensioni si può collocare anche la malinconia per una relazione d’amore finita male. Scrive Watzlawick “Resistete alla ragione, alla memoria e ai vostri migliori amici, che con le loro parole vi vogliono far credere che la relazione fosse da tempo mortalmente malata, e che troppo spesso vi siete chiesti in qual modo avreste potuto fuggire da quell’inferno.

Restare ancorati al passato, crogiolandosi nei ricordi, significa anche perdere il contatto con il presente, non avere il tempo di dedicarsi all’oggi. E, di conseguenza, non vedere quel che si ha, quei piccoli momenti di trascurabile felicità che ogni giorno sono sotto i nostri occhi. Ci si comporta come la moglie di Lot, il personaggio biblico che fugge dalla distruzione di Sodoma. A lei l’angelo comanda di salvarsi e non voltarsi indietro. Eppure lei si gira e si tramuta in una statua di sale. Un’immagine che rappresenta perfettamente la condizioni di chi volge lo sguardo verso il passato, rinunciando alla vita presente, alla novità, all’imprevisto.

Alcuni cercano nel passato le cause dei propri mali, seguendo un ragionamento di tipo quasi deterministico. E arrivando, in questo modo, a scansare ogni tipo di responsabilità e a escludere che qualcosa possa cambiare in meglio.

Scrive ironicamente l’autore “Quello che ci cagionarono Dio, mondo, destino, natura, cromosomi e ormoni, società, genitori, parenti, polizia, insegnanti, medici, capi o soprattutto amici, è talmente grave che la minima insinuazione circa il poter fare qualcosa contro tale condizione è già di per sé un’offesa”. È un meccanismo che consente di dare all’infelicità un aspetto definitivo. Di chiudere le porte a qualsiasi cambiamento. E anche nel caso in cui la situazione migliori di per sé, andando a compensare il trauma o la sofferenza che deriva dal passato, aggiunte l’autore, si può “rimediare”. È sufficiente incrociare le braccia e dire “ora è troppo tardi, ora non lo voglio più”, ponendo un freno alla guarigione.

C’è poi un altro meccanismo legato al passato che Watzlawick spiega con la storiella dell’uomo che ha perduto una chiave. Un poliziotto lo vede che cerca intorno a un lampione e si mette ad aiutarlo. Ma non trovano nulla. Alla fine gli domanda se sia proprio sicuro di averla persa in quel punto. L’uomo risponde: “Non, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio”. Ostinandosi a cercare nel posto sbagliato, solo perché lì è più semplice muoversi, non troverà mai nulla. Arriverà sempre allo stesso risultato.

È lo stesso comportamento messo in atto dal nevrotico: si ripete in modo incessante una certa azione, un certo schema di comportamento, che deriva da un adattamento precedente, senza che ciò porti alla soluzione del problema che si sta affrontando. Anzi, spesso non si fa altro che complicare ulteriormente la situazione. Eppure, invece di provare ad adottare un’altra prospettiva, a modificare il proprio modo di agire, ci si impegna ancora di più in quello che si sta facendo. Si è convinti, infatti, che l’unico motivo per cui non si riesce a superare la difficoltà è il non essersi dati abbastanza da fare.

Profezie che si realizzano da sé
Tra i meccanismi mentali e le suggestioni passate in rassegna in “Istruzioni per rendersi infelici”, Watzlawick cita anche le profezie che si realizzano da sé. E parte proprio da un classico esempio, quello dell’oroscopo. Un mattina ci si sveglia e si legge il proprio oroscopo sul giornale: mette in guardia sulla possibilità che accada un incidente. Durante la giornata, effettivamente succede qualcosa. La logica conclusione allora è che l’oroscopo sia credibile. Almeno in apparenza.

In realtà, se non avessimo letto quella previsione o non ci avessimo creduto, non sarebbe accaduto nulla.

È sufficiente avere una qualsiasi aspettativa o preoccupazione che viene vissuta non come semplice attesa, ma come una realtà incombente, che si vuole evitare a tutti i costi: un esame che va male, un ritardo, persino un incidente o anche la convinzione che qualcuno parli alle nostre spalle.

L’atteggiamento che assumiamo di fronte a queste situazioni che immaginiamo e che occupano completamente la nostra mente, condiziona lo svolgersi degli eventi. Se, per esempio, riteniamo che gli altri ci prendano in giro, cominceremo a essere sospettosi, diffidenti, magari anche ad aggredire verbalmente qualcuno che pensiamo si stia comportando male alle nostre spalle.

E cominceremo a notare bisbigli, sussurri, mezze frasi, cenni del capo. Tutti segnali che rafforzeranno la convinzione iniziale. Tutti comportamenti che, in verità, derivano dal nostro strano modo di relazionarci con le persone che abbiamo intorno.

La profezia si è avverata.


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mercoledì 27 ottobre 2021

«che cosa ti fa pensare che gli elfi siano più magici di una creatura strana come una balena?»-Ma nessun elfo è presente





Boyhood è un film indipendente del 2014 scritto e diretto da Richard Linklater.

La lavorazione del film è durata 12 anni, dal 2002 al 2014, per raccontare la crescita di Mason (interpretato da Ellar Coltrane) e il rapporto con i genitori divorziati (interpretati da Ethan Hawke e Patricia Arquette).


https://it.wikipedia.org/wiki/Boyhood



Elogio degli eccessi della filosofia

di Paolo Costa

https://www.academia.edu/11479775/Elogio_degli_eccessi_della_filosofia?auto=download&email_work_card=download-paper


Alcuni brani


Tra i molti piaceri suscitati dalla visione di quella sorta di celebrazione della vita ordinaria che è il pluripremiato film di Richard Linklater Boyhood, ce n’è uno specificamente riservato alle persone dotate di temperamento filosofico. È una  soddisfazione sottile che scaturisce dalla possibilità di osservare la filosofia intrufolarsi nella vita delle persone in una forma ancora non intaccata dal professionismo accademico e dal suo inevitabile impulso disciplinatore. L’intrusione avviene in più punti del film (che, per i pochi che non lo sapessero, è stato girato dallo stesso cast nell’arco di dodici anni e tratteggia la parabola  esistenziale di un ragazzino dai 7 ai 18 anni). Gli eccessi della ragione filosofica si profilano, per esempio, quando a 10 anni il protagonista, Mason Jr, in un momento  di intimità domanda al padre, con un piglio da realista diretto, se nel mondo esista davvero la magia. Di fronte alla risposta sofisticata, da realista interno, di Mason Sr(«che cosa ti fa pensare che gli elfi siano più magici di una creatura strana come una balena?»), il bambino chiude il discorso con una domanda che non lascia scampoalle buone intenzioni del genitore: «ma, voglio dire, precisamente in questo momento, non ci sono elfi nel mondo, giusto?». («No, tecnicamente, nessun elfo» èla conclusione sconsolata del padre.)


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Insomma, per tornare sul punto centrale, una volta esclusi la fama, il denaro e il potere, che cosa resta a un cultore della filosofia oggi se non il divertimento intellettuale e la meraviglia? Ma che cosa rimane del piacere e della sorpresa se non  possono essere condivisi, se non sono l’occasione per iniziare o cementare un’amicizia, fosse pure solo di penna?


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Giusto per ribadire, se ce ne fosse

bisogno, che se la filosofia morirà, non sarà certo di vecchiaia.



martedì 26 ottobre 2021

Schopenhauer e Leopardi è un saggio in forma di dialogo scritto da Francesco de Sanctis nel dicembre 1858 sulla Rivista Contemporanea,



Lo scritto di De Sanctis è certamente tra i primi lavori dedicati alla interpretazione di Schopenhauer, ed è indubbiamente unico, nel panorama delle reazioni filosofiche italiane a tale pensatore, non solo per la sua tempestività in ordine di tempo, ma proprio per il valore dell’interpretazione ivi presentata del filosofo tedesco, il quale era sugli allori, dopo il tardo successo del suo pensiero, avvenuto, finalmente, dopo l’uscita del suo scritto Parerga e Paralipomena, nel 1851. Pubblicato nel dicembre 1858 sulla Rivista contemporanea, anche dal punto di vista strettamente letterario è «uno dei suoi saggi più geniali» (Muscetta), proprio per l’effetto concreto che ottiene, sotto l’apparente espressione di adesione e consenso al pensiero schopenhaueriano: ossia una effettiva spietata “liquidazione” della sua filosofia, a fianco di una altrettanto aperta rivalutazione del significato “progressivo” del “nichilismo” leopardiano 

https://www.liberliber.it/online/autori/autori-d/francesco-de-sanctis/schopenhauer-e-leopardi/

https://it.wikipedia.org/wiki/Schopenhauer_e_Leopardi


testo completo in

https://it.wikisource.org/wiki/Schopenhauer_e_Leopardi

https://www.facebook.com/groups/ileopardiani/permalink/1182453659164312


https://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/de_sanctis/schopenhauer_e_leopardi/pdf/schope_p.pdf



Alcune citazioni


La filosofia avea trovate le sue fondamenta, grazie

a Locke e Kant, riposando sull’assoluta differenza del reale e dell’ideale; ed eccoti 

Schelling che  ti fa proprio il rovescio, e confonde bianco e nero, e ti gitta reale e ideale 

nell’abisso della sua assoluta identitá. Di qui errori sopra errori; sparsa la mala semenza, 

n’è nata la corruzione, il pervertimento della filosofia. Il peccato di Schelling è grosso, ma, 

come ti dicevo, Hegel è il  gran peccatore, perché l’intuizione intellettuale difficilmente 

sarebbe andata in capo al pubblico; dove Hegel col suo processo dialettico ha dato 

un’apparenza di armonia a questo mostro filosofico, ne è stato l’ordinatore e l’architetto, ha 

reso curabile il peccato. E Schopenhauer te lo concia per le feste. Ciarlatano, insipido, 

stupido, stomachevole, ignorante, la cui sfacciataggine è stata gridata saggezza da’ suoi 

codardi seguaci, vero autore della corruzione intellettuale del secolo.


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Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l’uno creava la 

metafisica e  l’altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo cosí, e non sapeva il 

perché. Arcano è tutto

Fuorché il nostro dolor.

Il perché l’ha trovato Schopenhauer con la scoperta del “Wille”


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 Perché Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al 

progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertá, e te la fa amare. Chiama illusioni 

l’amore, la gloria, la virtú, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi 

lasciarlo, che non ti senta migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di 

raccoglierti e purificarti, perché non  abbi ad arrossire al suo cospetto. È scettico, e ti fa 

credente; e mentre non crede possibile un avvenire men tristo per la patria comune, ti desta 

in seno un vivo amore per quella e t’infiamma a  nobili fatti. Ha cosí basso concetto 

dell’umanitá, e la sua anima alta, gentile e pura l’onora e la

nobilita. E se il destino gli avesse prolungata la vita infino al quarantotto, senti che te 

l’avrestitrovato accanto, confortatore e combattitore. Pessimista od anticosmico, come 

Schopenhauer,non predica l’assurda negazione del “Wille”, l’innaturale astensione e 

mortificazione del cenobita: filosofia dell’ozio che avrebbe ridotta l’Europa all’evirata 

immobilitá orientale, se la libertá el’attività del pensiero non avesse vinto la ferocia 

domenicana e la scaltrezza gesuitica. Ben contrasta Leopardi alle passioni, ma solo alle 

cattive; e mentre chiama larva ed errore tutta la vita,non sai come, ti senti stringere piú 

saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande. L’ozio per Leopardi è 

un’abdicazione dell’umana dignitá, una vigliaccheria; Schopenhauer richiede

l’occupazione come un mezzo di conservarsi in buona salute. E se vuoi con un solo esempio 

misurare l’abisso che divide queste due anime, pensa che per Schopenhauer tra lo schiavo e 

l’uomolibero corre una differenza piuttosto di nome che di fatto; perché se l’uomo libero 

può andare daun luogo in un altro, lo schiavo ha il vantaggio di dormire tranquillo e vivere 

senza pensiero, avendo il padrone che provvede a’ suoi bisogni( ) 27 ; la qual sentenza se 

avesse letta Leopardi, avrebbe arrossito di essere come “Wille” della stessa natura di Schopenhauer.

domenica 24 ottobre 2021

HIAWATHA*. ad Occidente, ad Occidente-alle Isole dei Beati.




Sostò sulla riva Hiawatha,

si voltò, e partendo agitò la mano nel saluto.

Sull’acqua chiara e lucente

lanciò la sua canoa di betulla per veleggiare;

dai ciottoli della riva

la spinse nell’acqua con vigore;

le mormorò: “Ad Occidente, ad Occidente!”

Ed essa in avanti sfrecciò veloce.

Ed il sole della sera calando

mise a fuoco le nubi con rosso colore,

arse il vasto cielo, come una prateria,

lasciò sull’acqua in superficie

una lunga scia di splendore.

E lungo la sua corrente, come giù per un fiume,

ad Occidente, ad Occidente, Hiawatha

veleggiò verso l’igneo tramonto,

s’immerse nei vapori purpurei,

nella bruma della sera.

… … …

Così se ne andò Hiawatha,

Hiawatha il diletto,

alle Isole dei Beati.


sta in 

http://prometheos.com/LUT/testi/Un_collega_dal_cuore_di_leone.pdf



*https://it.wikipedia.org/wiki/Hiawatha

*https://www.treccani.it/enciclopedia/hiawatha



venerdì 22 ottobre 2021

Liberi dentro. Vivere secondo il Manuale di Epitteto


https://francescodipalo.wordpress.com/2021/10/22/liberi-dentro-vivere-secondo-il-manuale-di-epitteto-pubblicato-in-formato-ebook/


Dalla Introduzione

Con l’affidare alla stampa questa versione del Manuale di Epitteto non mi propongo particolari fini scientifici o filologici. Questo lavoro obbedisce piuttosto a esigenze di carattere pratico e spirituale. Ho fatto una piccola scommessa con me stesso: provare a restituire al Manuale la sua funzione originaria, adattandolo alla sensibilità e all’immaginario collettivo dei nostri tempi. Ovvero, l’ho “riscritto” per me, innanzitutto, e per chi avrà la pazienza di leggerlo con l’intenzione di prendersi cura di sé. Esso è l’ordito di un percorso spirituale alla ricerca della libertà interiore, un percorso che si rinnova da secoli attraverso l’esperienza di molte generazioni di esseri umani.

Composto da Arriano di Nicomedia nella prima metà del II sec. d.C. sulla scorta degli insegnamenti orali del grande filosofo stoico, questo libriccino aveva una funzione eminentemente pratica. Encheirìdion in greco significa, letteralmente, “che sta in mano” (en chèir), che si può facilmente “maneggiare”. Qualcosa, insomma, che ci si può (o ci si deve) portare sempre appresso, perché all’occorrenza serve.

A cosa? A “ben vivere”, nel momento presente, a sbrigarsela con se stessi in rapporto “a ciò che è esteriore” (fatti, persone, vicissitudini), ovvero al saper essere e al saper fare. O, per dirla più chiaramente, al “saper stare al mondo”, affrontando nella maniera più idonea le circostanze che la vita ci pone dinanzi in termini più o meno problematici, col bipartire ciò che è in nostro potere (la sfera personale, il modo in cui consideriamo le cose) e ciò su cui non abbiamo alcun controllo (le cose in sé). Per difendere gelosamente la propria libertà interiore bisogna imparare a riconoscere ed applicare tale differenziazione ai nostri casi concreti. Questo, in essenza, è il messaggio di Epitteto. Ma egli non ci dice solo cosa occorra fare (e perché): ci spiega anche come farlo.

Il Manuale è anche “filosofia” nel senso corrente del termine, d’accordo, quindi si tratta di “pensiero astratto”. La sua funzione, però, non è affatto “astratta”. Conoscere per il gusto di conoscere è una bellissima esperienza. Ma ancor più bella è quella conoscenza che dalla concretezza del vissuto (personale) ascende faticosamente alle vette dell’astrazione per ridiscenderne purificata e fresca come torrente montano, nuova vita e nuove prospettive fornendo all’esser presenti a se stessi nel qui e nell’ora.

Insomma, conosco per stare bene, conosco per provare ad essere felice. E quelle nozioni che mi servono ad affrontare nel modo più tranquillo e dignitoso possibile la quotidianità – da uomo affrancato dall’ignoranza, che calca la terra per il tempo dal destino assegnatogli con libera testa e libero cuore – me le porto dietro, nella memoria e, non si sa mai, anche su carta.

Se il contenuto del Manuale, giunto a noi varcando i secoli, è sempre vivo e vitale, come ben si conviene ad un classico, per restituirlo al compito che dovette attribuirgli Arriano occorreva tentare di ripristinarne l’immediatezza, l’efficacia comunicativa, il suo essere incisivo, mordente. Senza snaturarlo, travisandone il greco, ma, per così dire, lasciandolo parlare alle orecchie, al sentimento e all’intelligenza dei miei contemporanei, come a suo tempo (1825) fece Giacomo Leopardi.

Questo ho provato a fare, nella maniera più semplice possibile, “ri-meditando” paragrafo per paragrafo e rinnovandone l’esercizio spirituale sottostante, di cui lo scritto rappresenta la cifra, la traccia. Per decifrarla è stato necessario – va da sé – chiarire il significato della terminologia e dei concetti filosofici dello stoicismo di Epitteto e della mentalità del lettore del tempo. A ciò provvedono sia gli ampi testi introduttivi che il dizionario posto a conclusione del libro. Una speciale sezione è dedicata alla rassegna degli esercizi sottesi al testo. In queste parti del lavoro si è fatto frequente riferimento alle Diatribe, i dialoghi di Epitteto – sempre trascritti da Arriano – dalla cui rielaborazione è nato il Manuale. Applicando la disciplina giornaliera dello scrivere, il pomeriggio al termine delle mie lezioni di filosofia a scuola, ho avuto sempre presente i miei allievi, le persone, intendo, quelle lì e non altre, cui va la mia riconoscenza. Forse quello che prendo, concretamente, è più di quello che do. A loro mi rivolgo, in prima battuta, com’è naturale (chissà che questo libro non si riveli anche un puntuto strumento didattico!), nonché a chi, giovane o meno giovane (non si è mai troppo vecchi per filosofare! sarebbe come dire che si è troppo vecchi per esser felici …), crede che la filosofia rappresenti ancora una chance di miglioramento di sé e di “buona vita”.

Non è affatto detto che l’alchimia di rinverdire la spiritualità stoica mi sia riuscita. Giudicherà il lettore. Per quanto mi riguarda, ho semplicemente nutrito l’intenzione d’essergli utile. Con la consapevolezza che difficilmente riuscirò a esser utile a chicchessia se avrò fallito nel giovare a me stesso. Questo era quanto dipendeva da me. Per il resto mi affido alla volontà del dio.

Fate di tutto per coltivare il vostro spazio personale, liberatevi dagli abiti di pensiero nocivi, date fiato ed agio al vostro Sé. Cercate di essere felici col riscattate la vostra libertà. La vita è breve e non c’è nient’altro da realizzare se non questo, il massimo bene:

«”Ti sembra un bene la libertà?” — “Il più grande”. — “E chi ottiene il bene più grande, può essere infelice o star male?” “No”. — “Dunque, quanti vedi infelici, inquieti, gemebondi, afferma pure senza esitare che non sono liberi”» (Diatribe IV, 1, 52).

Francesco Dipalo

martedì 5 ottobre 2021

Buddha: la storia dei due cani e il modo di vedere il mondo



https://www.lavocedibolzano.it/buddha-la-storia-dei-due-cani-e-il-modo-di-vedere-il-mondo/


Una donna vide due cani, che in momenti diversi entravano nella medesima stanza e, dopo poco tempo ne uscivano.

Il primo che era entrato, ne uscì scodinzolando con l’aria felice. Il secondo ne era uscito ringhiando e abbaiando. Per questo, la donna si era incuriosita, e decise di entrare nella stanza per vedere cosa ci fosse, e scoprire la ragione delle due diverse reazioni dei due cani. Giunta all’interno della stanza, la donna vide che vi erano una miriade di specchi, distribuiti per tutta la stanza.

Capì così che il cane che era entrato con l’umore felice, aveva potuto trovare, specchiandosi, tanti altri cani felici come lui che lo guardavano, ed era uscito soddisfatto. Il cane arrabbiato aveva potuto incrociare solo cani arrabbiati che lo impaurivano e abbaiavano come lui.



sabato 2 ottobre 2021

IL LIBRO ILLUSTRATO PER L’INFANZIA NELLA TRADIZIONE TEDESCA. M a r is a F a d o n i S t r i k I L B I L D E R B U C H



 

1).P a r t e p r i m a .  D a g l i i n i z i all'epoca Biedermeier

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_877_Marisa_F_S_Bilderbuch_1.pdf


2)P a r t e s e c o n d a .  H e i n r i ch H o f f m a nn ( 1 8 0 9 – 1 8 9 4  : D e r S t r u wwe l p e t e r ( P i e r i n o P o r c o s p i no ) e g l i a l t r i s u o i Bi l d e r b ü c he r


https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_887_Marisa_F_S_Bilderbuch_2.pdf


3)  P a r t e t e r z a . L ’ e p o c a d ’ o r o d e l B i ld e r b u c h b o r g h e s e

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_914__Marisa_F_S_Bilderbuch_3.pdf


4)P a r t e Q ua r t a . I l g r a n d e L o t h a r Me g g e n d o r f e r ( 1 8 4 7 – 1 9 2 5 )

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_930_Bilderbuch_4.pdf


5)P a r t e Q u i nt a . I l B i l d e r b u c h a l l ’ e p o c a d e l J u g e n d s t i l .

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_969_Bilderbuch_5.pdf


6)P a r t e s e s t a . Ernst Kre i d o l f ( 1 8 6 3 – 1 9 5 6)

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_982_Bilderbuch_6_Kreidolf.pdf


7)Parte settima. Sue tendenze nel secolo XX.

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_B_484_Bilderbuch_7_novecento.pdf


8)Parte ottava. Tom Freud e Suska. Il destino di due illustratrici

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_B_503_Bilderbuch_8.pdf


9).Parte nona e ultima. Anni Trenta-Cinquanta del XX secolo

https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_B_608__Bilderbuch_9.pdf

sabato 25 settembre 2021

A provocare la distruzione di Sodoma e Gomorra e delle mura di Gerico

desc imgSodoma e Gomorra

A provocare la distruzione di Sodoma e Gomorra potrebbe essere stato un asteroideil Corriere rilancia uno studio - pubblicato sulla rivista Nature - che collega il noto episodio biblico «con la distruzione di un villaggio a nord del mar Morto a causa di un oggetto piovuto dal cielo, un piccolo asteroide o più probabilmente una cometa o un suo frammento, avvenuto intorno al 1.600 a.C.». Un pool internazionale composto da 21 studiosi provenienti da Usa, Canada e Repubblica ceca hanno portato avanti per quindici anni una campagna di scavi presso la località di Tall el-Hammam, nell'attuale Giordania, recuperando "dati consistenti" a supporto della tesi che la cittadina sia stata distrutta "in modo rapido da un oggetto arrivato dallo spazio". Gli esperti hanno ricostruito un quadro a tinte apocalittiche: «un giorno il villaggio venne investito dall’onda urto provocata dall’esplosione di un oggetto a 4 chilometri d’altezza che entrò nell’atmosfera a una velocità di 61 mila chilometri all’ora», un'esplosione dalla potenza "pari a quella di mille bombe atomiche" capace di provocare "una pressione di 50 tonnellate al centimetro quadrato".

Dopo l'esplosione «la temperatura salì rapidamente a 2 mila gradi. Tutto prese fuoco: metalli e mattoni si sciolsero in pochi minuti. L’intera città venne distrutta, difficilmente qualcuno dei suoi 8 mila abitanti riuscì a salvarsi». Dai calcoli degli studiosi, pochi minuti dopo aver investito la località giordana «l’onda d’urto arrivò a Gerico, distante solo 22 chilometri, e potrebbe aver danneggiato o distrutto le sue famose mura», il cui crollo - non vi sarà sfuggita la coincidenza - è oggetto di un altro celebre racconto biblico.

mercoledì 25 agosto 2021

Il Green Pass e il Prof Andrea Camperio Ciani, ordinario all’Università degli studi di Padova per le cattedre di Etologia, Psicobiologia e Psicologia evoluzionistica,

 

Tertium non datur ma non sempre di Mirella Violi – DeliaPress.it

PREMESSA 


Sul piano delle idee e delle opinioni io non condivido le motivazioni del docente Andrea Camperio Ciani che ha di fatto e di diritto presentato le sue dimissioni totali dall'Ateneo di Padova a seguito di un decreto del Rettore con il quale si  statuisce "l’obbligatorietà della tessera Green pass per svolgere lezioni"

Non conosco le procedure giurisdizionali dell'università e quindi non so se il docente avrebbe potuto adire,attraverso il contenzioso amministrativo, un giudice della Repubblica per porre la questione sull'illegittimità del decreto settoriale. Constato che ha eventualmente azzerato questa possibilità e ha presentato le sue dimissioni ,anzi come egli scrive in conclusione "Sono quindi fiero di rimetterle il mio mandato ed attendo il suo decreto di licenziamento."

Link del testo della lettera del docente al Rettore


https://r2020.info/2021/08/25/prof-camperio-ciani-green-pass-come-tessera-fascista-se-obbligatorio-mi-dimetto-da-universita/?fbclid=IwAR06fdLA12HMRNxU772ztiRVsxZ_rkaKTbrqe1aXgFn-UTkHSPFR9A_LLko


ESITO 


Ora e tuttavia  se io fossi un militante no Green Pass  e se fossi anche dipendente  sia nel pubblico impiego sia  nel comparto privato e se fossi iscritto ad un ordine professionale  vincolante per il mio lavoro..mi sentirei spiazzato dalla scelta del docente il quale con correttezza gioca con il suo posteriore e con il suo portafoglio e non con quello degli altri. 

Il docente ricorda i pochissimi docenti universitari (probabilmente in tutto dodici ) che  non volendo giurare fedeltà al fascismo, lasciarono l'università..Orbene  se si è convinti  come ne è convinto il docente, che il Green Pass reso obbligatorio è una scelta autoritaria e fascista e se tale obbligatorietà è  sancita da atti amministrativi (dei legali rappresentanti degli uffici e degli ordini professionali )immediatamente esecutivi e non impugnabili per procedura d'urgenza  ,per tali cittadini convinti dell'equivalenza   Green Pass=nazifascismo ,non resta per dignità di coscienza che  la soluzione del docente.

Tertium non datur.

Certo mi si potrà dire che il docente e gli iscritti ad alcuni ordini professionali hanno anche la possibilità economica di poter fare il bel gesto  e in fondo non rischiano nulla neppure per il futuro. Si possono riciclare serenamente e in termini di prestigio e in ambito di portafoglio. Invece moltissimi  oppositori del Green Pass e sostenitori dell'equazione  possono non avere questa possibilità.

Giusto. ma "al tempo" .... Se l'opposizione al Green Pass nell'ambito dell'equazione che  viene proposta. è scelta etica di libertà e di dignità ed è non negoziabile...il docente Camperio Ciani vi ha tracciato la strada altrettanto unica e non negoziabile. 

Tertium non datur.. E non c'è  posizionamento provvisorio che tenga. Il docente vi ha detto "Hic Rhodus, hic salta"


Insomma  vi ha messo davanti allo specchio della vostra stessa identità culturale, etica e politica. 

NON VI HA FATTO UN FAVORE. 






giovedì 10 giugno 2021

William Ernest Henley, Invictus

William Ernest Henley, Invictus. (Henley rimase vittima del morbo di Pott, che a 17 anni lo costrinse all'amputazione di una gamba. Nonostante ciò, non si perse d’animo, continuò i suoi studi e divenne poeta, giornalista ed editore. Visse fino all’età di 54 anni, seppur con una protesi artificiale. La poesia Invictus fu scritta proprio sul letto di un ospedale nel 1875.)





Ringrazio gli dei qualunque essi siano

Per la mia indomabile anima.

Nella stretta morsa delle avversità

Non mi sono tirato indietro né ho gridato.

Sotto i colpi d'ascia della sorte

Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime

Incombe solo l'orrore delle ombre.

Eppure la minaccia degli anni

Mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio, 

quanto piena di castighi la vita,

Io sono il padrone del mio destino:

Io sono il capitano della mia anima.


https://www.facebook.com/297511110811283/photos/a.317367112159016/907237496505305/



mercoledì 9 giugno 2021

il Signore degli anelli La pietà di Bilbo- (Gandalf e Frodo)



“F: ..C’è qualcosa laggiù!


G: E’ Gollum.


F: Gollum?


G: Sono tre giorni che ci segue.


F: E’ fuggito dai sotterranei di Barad-dur?


G: Fuggito, o lasciato andare. Lui odia e ama l’anello, proprio come odia e ama se stesso, non si libererà mai del bisogno di averlo.


F: Che peccato che Bilbo non l’abbia ucciso quando poteva.


G: Peccato? È stata la pena che gli ha fermato la mano. Molti di quelli che vivono meritano la morte e molti di quelli che muoiono meritano la vita. Tu sei in grado di valutare Frodo? Non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi. Anche i più saggi non conoscono tutti gli esiti. Il mio cuore mi dice che Gollum ha ancora una parte da recitare nel bene o nel male, prima che la storia finisca. La pietà di Bilbo può decidere il destino di molti.


F: Vorrei che l’anello non fosse mai venuto da me. Vorrei che non fosse accaduto nulla.


G: Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi ma non spetta a loro decidere. Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso. Ci sono altre forze che agiscono in questo mondo Frodo apparte la volontà del male. Bilbo era destinato a trovare l’anello. Nel qual caso anche tu eri destinato ad averlo, e questo è un pensiero Incoraggiante..”.


https://www.youtube.com/watch?v=YbxgKDDJPog

giovedì 27 maggio 2021

SOTTO L’OMBRELLO DELLA COSTITUZIONE: LA VOCE DELLE DIFFERENZE



Quanto spazio c’è sotto l’ombrello della Costituzione?

La Carta fondamentale della Repubblica può essere raffigurata come un ombrello le cui falde rappresentano un sistema protettivo finalizzato a soccorre, all’occorrenza, le diverse soggettività in essa richiamate. Saggiamente la Costituzione non utilizza categorie semantiche stringenti (modalità “catalogo”), e quando lo fa, la ragione dipende dalla necessità di dover rispondere a specifiche situazioni non generalizzabili. Diciamo, allora, che la forza di una qualsiasi Costituzione (specie di quelle scaturite dalle grandi rivoluzioni liberali settecentesche poi “rigenerate” e “arricchite” nel secondo dopoguerra) risiede nella capacità di “prevedere” cosa accadrà nel futuro, e dei loro autori (i “padri costituenti”) di presentarsi come i depositari, oltre che di competenze tecniche, anche di qualità straordinarie (“numinose”). E in effetti, a pensarci bene – e circoscrivendo il discorso all’esperienza italiana – come potremmo definire quelle persone (uomini e donne) che dopo la tragedia della seconda guerra mondiale – ognuna con esperienze di vita diverse, tutte segnate dalla tragedia del fascismo e dalla guerra di liberazione – hanno deciso di mettere da parte il loro “privato” pur di ridare al paese la speranza, partendo dal ripristino della democrazia? Senza il loro sacrificio, noi (singole persone e poteri pubblici) oggi saremmo altro; di certo non avremmo tutti quei diritti e quelle libertà che ci consentono (pur tra mille problemi) di vivere senza timore, di esibire la nostra personalità in pubblico al riparo di qualsiasi intrusione. E ogni volta che qualcuno (soggetto privato o pubblico non fa differenza) cerca di conculcare la nostra natura (… ricordando che la battaglia per i diritti è sempre in corso) sappiamo di poter fare ricorso agli strumenti che la Costituzione ha previsto, anche ricorrendo a dispositivi creati altrove (in Europa per esempio), certi che una determinata istituzione si farà carico delle nostre rimostranze assicurando (all’occorrenza) il ripristino della legalità tradita. Questo è possibile, allora, grazie all’ombrello della Costituzione, che mette al riparo i cittadini e le istituzioni dalle intemperie politiche che possono infuriare nello spazio pubblico, impedendo che i nemici della democrazia possano scardinare i valori di fondo su cui essa si fonda e favorendo, con procedure definite dalla legge, la partecipazione di tutti al governo della società. Grazie alla elasticità del “tessuto” di cui è fatta la Costituzione (la sua trama valoriale frutto di tradizioni diverse), situazioni sociali e soggetti, anche non espressamente previsti dalla Carta, ricevono degna considerazione e vengono ritenuti, sulla base di una corretta interpretazione effettuata da un corpo di esperi (dottrina, giudici, legislatore, etc.), meritevoli di protezione sulla scorta di una serie di premesse argomentative (la politica) e successive disposizioni giuridiche (le norme) germinate dalla costante lotta contro tutto quanto si palesa in contrasto con i primi dodici articoli della Costituzione (i diritti fondamentali).

 

Fatta per durare nel tempo
Quando i costituenti scrissero la Costituzione, la società italiana si presentava conformata in maniera molto diversa rispetto ai tempi presenti. Le urgenze erano diverse, così come i bisogni e gli interessi delle persone dipendevano in massima parte dalla necessità di lasciarsi alle spalle i disastri della dittatura e della guerra. Buona parte di quei problemi sono stati affrontati e risolti, grazie, soprattutto, alla volontà dei costituenti e dei primi governi repubblicani di mettere da parte alcune divergenze ideologiche e di stabilire priorità a partire dalla centralità della persona umana. Il “personalismo” rappresenta il fulcro attorno al quale si è dato corso alla rinascita democratica del paese, predisponendo una serie di organi e apparati aventi il compito di far discendere da quel super valore-principio tutte le regole necessarie per impedire il ritorno al passato e dare vita, di contro, ad una società libera e uguale. E’ bene, perciò, non dimenticare mai che tutto quanto oggi diamo per scontato è frutto di una stagione politica tra le più complesse della storia del nostro paese e soprattutto della ferma volontà umana, intesa come impegno pratico e ideale (il sale della politica) a rimuovere le cause generatrici di diseguaglianze, discriminazioni, coercizione, conformismo, etc. Certamente, non tutto quanto sognavano i costituenti e i tanti protagonisti della prima fase democratica della Repubblica ha trovato concreta attuazione. Alcune norme costituzionali non hanno ancora trovato integrale attuazione. Lo scontro ideologico e geopolitico che ha dominato la scena pubblica (italiana ed Europea) almeno fino al crollo del muro di Berlino (1989) ha frenato alcune riforme, ma tanti successi (anche insperati) hanno ripagato dagli sforzi intrapresi: in primis la costruzione dell’Europa unita che ha garantito la pace nel vecchio continente e ispirato molti paesi ad aprirsi alla cooperazione e al libero mercato. Se oggi osserviamo il rovescio di questa trama, ci accorgiamo di quanti intrecci è stato necessario imbastire per dare vita al miracolo del ricamo che ci si offre a prima vista. E’ vero che alcuni nodi restano ancora irrisolti (il persistere delle diseguaglianze per esempio) e che altri si manifestano in forma anche allarmante (il rifiuto delle differenze) ma la democrazia costituzionale è il regime delle possibilità; solo essa (in base alle esperienze praticate nel mondo) è in grado di infondere speranza perché tende a non escludere nessuno dalla sua gittata (tranne chi mette in discussione i suoi cardini di fondo: dunque è anche “escludente” ma solo verso chi non riconosce la lezione della storia, il dato dell’esperienza) e a non richiedere (paradossalmente) “professione di fede” neppure ai suoi nemici. Questo significa che, a differenza di altri sistemi di reggimento politico, la democrazia costituzionale è più a rischio, è facile cioè che subisca tensioni e finanche aggressioni mortali; ma chi si è battuto contro la dittatura fascista (e idealmente contro tutte le tirannie sia politiche che religiose che l’Europa ben conosce e che ancora sperimenta, seppure sotto mutate versioni) preferisce lottare quotidianamente per preservare le sue fondamenta, piuttosto che accettare le blandizie o le minacce di “nuovi Leviatani” che si aggirano per il mondo. Sarebbe, in sintesi, un errore immaginare chiusa la stagione della Costituzione del 1948 solo perché le forze politiche che l’hanno partorita sono scomparse, o ne resta qualche limitato strascico. “Le vere Costituzioni sono prodotti storici astratti, che perdurano indipendentemente e oltre il cambiamento dei partiti e degli uomini al potere” (G. Zagrebelsky, Diritto allo specchio, Einaudi, Torino, 2018, p. 192).

 

 

La flessibilità del diritto
Quella di oggi è dunque una Costituzione dalle radici profonde, che guarda lontano perché sicura del proprio retaggio storico nonchè delle potenzialità che questo “motore” è ancora in grado di sprigionare. In essa si rispecchia una società diversa, la quale – a differenza del passato – deve mettere in conto la compresenza di nuovi bacini culturali, frutto dei grandi processi migratori in corso da alcuni anni scaturenti dai rivolgimenti sociali e politico-istituzionali attivi soprattutto in Africa e in medio-oriente. Questo scenario multiculturale ha bisogno, per essere governato, di soluzioni rinnovate, certamente diverse da quelle approntate quando lo spazio pubblico nel nostro paese risultava quasi del tutto mono-culturale. Per alcuni, il multiculturalismo è un problema che andrebbe confinato ai margini del discorso politico (almeno fino a quando non diventa pervasivo) nonché “risolto” partendo dal rigetto di alcune sue caratteristiche evidenti, come la religione per esempio (specie quella islamica), il cui “peso”, secondo certe chiavi di lettura non più marginali, risulta irriducibile ai canoni della democrazia liberare. A ciò si aggiunge il fenomeno del terrorismo di matrice fondamentalista che amplifica la percezione delle trasformazioni in corso e presta il fianco a interpretazioni (e manipolazioni) riduzioniste e schematiche del rapporto tra Islam, radicalismo a base religiosa e società aperta. Secondo un’altra chiave di lettura, invece, il multiculturalismo andrebbe studiato partendo, innanzitutto, dal contesto sociale all’interno del quale ha trovato progressivo radicamento, evitando semplificazioni e, soprattutto, mettendo a disposizione degli “altri” tutto quanto è costudito nel forziere della nostra tradizione costituzionale. In base a questa visione (possibilista e realista nello stesso tempo) non si devono certamente negare le difficoltà del confronto tra estranei, ma bisogna anche avere il coraggio di ri-scoprire e far funzionare gli strumenti lasciatici in eredità dai padri. La sfida consiste, allora, nel provare a rileggere le matrici di senso della nostra cultura, sulla base di un approccio “interculturale” (che non stabilisce priorità tra soggetti e sistemi di pensiero, ma prova a fissare connessioni funzionali alla comprensione e alla convergenza su soluzioni pratiche, di vantaggio per tutti) pluralista (disponibile cioè a non lasciare indietro nessuno e a valorizzare le differenze) e fiducioso verso le capacità risolutive del diritto (che non si trincera nel puro legalismo ma “ascolta” la società, vede le sue trasformazioni e si immedesima con essa). Da problema, allora, il multiculturalismo può diventare risorsa. Ma è chiaro che alla politica spetta il duro compito di ascoltare e vedere cosa succede nella società, proponendo soluzioni che hanno a cuore le sorti di una cittadinanza oggettivamente multiforme. Se, al contrario, prevale la regola che qualcosa (o qualcuno) deve restare fuori, oltre il “margine della legalità” – dove non esistono garanzie di alcun tipo per gli indesiderati – allora significa che neppure la Costituzione potrà salvarci e che il futuro del paese è nelle mani dei barbari.

La sfida, per concludere, consiste nel valorizzare (sfruttare) al massimo le proprietà del diritto costituzionale, soprattutto la sua flessibilità, la capacità cioè di armonizzarsi ai cambiamenti della società e di assecondare il suo profilo mutevole. Nello stesso tempo, si tratta di nutrire fiducia nelle capacità “difensive” della Costituzione, facendo appello ai suoi cardini valoriali (che oggi si intersecano con quelli elaborati a livello europeo) non per retrocedere di fronte ai mutamenti culturali, ma per rilanciare con soluzioni innovative e razionali. Il percorso è appena all’inizio. Ai giovani, soprattutto, spetta raccogliere la sfida e proporsi come attori protagonisti di questo scenario inedito.

Gianfranco Macrì