C’era una volta un contadino che viveva in una fattoria dove si curava del suo orto. Il suo fazzoletto di terra era piccolo, poco fertile e gli dava tanto lavoro e soltanto qualche frutto, che però era succoso, buono e bello. Le erbacce erano tante e tanti gli insetti da eliminare.
In compenso c’erano molti amici pronti ad aiutarlo: mucche che gli davano il loro latte, cani fedeli, gatti affettuosi, galline che, pur starnazzando tanto, facevano anche tante uova, un’abbondanza di uccelletti che cantavano. C’era anche qualche cornacchia, molte gazze ladre, tante pecore e molti asini.
La fattoria era circondata da un recinto altissimo: un muro costruito con una pietra liscia.
Proprio al centro dell’orto campeggiava un grande mandorlo. Così viveva quel contadino.
E mentre si curava delle sue piantine e della sua terra, guardava il recinto di pietra.
Poi un giorno decise di scalarlo. Arrivò in cima con gran fatica. Vide, guardò e osservò. Ampi e colorati erano i prati. Fiori di tutti i tipi, alberi, campi, corsi d’acqua e valli scoscese si perdevano all’orizzonte unendosi a un cielo terso che sembrava non avere mai fine.
Il suo orto da quel momento gli sembrò ancora più piccolo e infertile, incapace di donargli la bellezza che aveva visto oltre il muro e i suoi amici sembravano muti, mentre le galline starnazzavano di più e le gazze sembravano moltiplicarsi e le pecore e gli asini sempre più pecore e sempre più asini.
Decise.
Prese i semi delle sue piantine più preziose e li mise in tasca per piantarli altrove. Cercò anche di estirpare le radici del suo mandorlo per portarlo con sé, ma non ci fu nulla da fare.
Decise di lasciarlo lì.
Prese soltanto qualche ramo. Con fatica si arrampicò di nuovo su per il recinto e con fatica ridiscese dall’altro lato. A testa alta si diresse verso il nuovo mondo. Dopo qualche anno le sue piante erano cresciute e avevano dato frutti buonissimi e lui da contadino era divenuto un piccolo principe. La sua casa era un castello e tutti lo rispettavano e stimavano.
Ma per quante ricchezze avesse accumulato rimaneva sempre nel suo cuore l’eco della fattoria e del suo piccolo orto abbandonato.
Un’eco che all’inizio era flebile, quasi impercettibile, ma con gli anni era divenuta sempre più forte, sino a farsi potente.
Così un giorno decise di tornare.
I suoi amici lo accolsero con gioia, festanti e allegri. Qualcuno non c’era più, qualcun altro era cresciuto, qualcun altro ancora aveva scalato il recinto di pietra liscia e non era tornato.
Si diresse con l’animo pieno di gioia verso il suo orto.
Non era rimasto che un cumulo di terra. Tutto era rinsecchito, inaridito, avvizzito, sfiorito. I sogni che aveva fatto mentre zappava erano stati inghiottiti dalla sua terra; il futuro che aveva immaginato, mentre estirpava le erbacce e imparava a riconoscere i segni del tempo, non si era mai avverato;
il mandorlo, di cui si era curato e che avrebbe voluto portare con sé, era sempre lì, triste e solitario. Le rughe scavavano il tronco e le radici erano ancora imprigionate in quelle zolle indurite.
«Non ti ho potuto portar via», gli disse.
«Mi dispiace», aggiunse in lacrime.
Il vento fece fremere la chioma e arrivò alle sue orecchie come un lamento che si tradusse in parole:
«Vivrò qui per l’eternità e sopravvivrò alla tua morte umana. Sono il testimone del tuo viaggio. Mi sono abbeverato delle tue lacrime e del tuo sudore straniero e la mia corteccia si è indurita con il tuo dolore, i miei frutti sono nati a ogni tuo successo, ma i miei fiori non sbocciano mai perché mai piena è ogni tua gioia. Io sono le tue radici, il tuo passato e il tuo presente.
Per quanto altrove tu abbia cercato il tuo futuro, oltre quel recinto, qui è rimasto quello che non sei stato, che avresti potuto essere, qui è rimasto quello che sei. Io sono ciò che non potrai innestare, ciò che non puoi sradicare, ciò che ti farà sempre esule».
Il principe contadino pianse. Abbracciò il tronco ritorto del mandorlo, andò via e non tornò mai più.
Molti anni dopo il principe contadino morì e le ceneri, per sua volontà, vennero sparse proprio alla base del mandorlo.
Un epitaffio, inciso su una pietra liscia, fu posto al suolo: «Ritorno terra alla mia terra per riabbracciare le mie radici».
Ancora oggi, in quella città lontana, c’è una zolla di terra inaridita e un mandorlo solitario con le radici conficcate nella desolata gleba, adesso fiorisce ogni anno ed è circondato da un recinto altissimo di pietra liscia.
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