Il Cavaliere di Dürer, riscoperto da Jean Cau, riassume in sè ogni rotta tentata e i relativi naufragi, poichè "la guerra, l'amore, il giuoco, la contemplazione" restano le sole verità necessarie, e la loro messa al bando segna la fine di un mondo
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Così il «Cavaliere» di Dürer diventò l'icona eroica della destra nobile e perduta
L'incisione più famosa e malinconica del maestro rinascimentale ispirò a Cau un saggio diventato il breviario di una generazione
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Si chiamava Jean Cau, era stato segretario personale di Sartre per dieci anni, «facevo parte dei reparti d'assalto dell'intelligenza di sinistra», insignito da giovane del premio Goncourt per il suo libro La pietà di Dio (tradotto nel 1961 da Mondadori). Ma un giorno, tornando dalla guerra d'Algeria, si convertì all'onore e alla tradizione. Combatté contro la decadenza della Francia e dell'Europa, schiacciata tra l'americanizzazione e il comunismo sovietico, avversò il '68. Gli estremi del degrado erano per lui la gioventù drogata e la tecnocrazia al potere. Da allora Jean Cau diventò quel Cavaliere solitario e in disparte, dannato all'inferno e alla morte civile. Scrisse opere taglienti, come Il Papa è morto e Le Scuderie dell'Occidente, pubblicate in Italia da Volpe, e celebrò la corrida in un celebre libro, Toro (edito in Italia da Longanesi) dedicato ai suoi amici matadores, banderilleros e picadores. Non mancò di scrivere un ardito elogio del Che (Passione per Che Guevara, Vallecchi, 2004), che esaltò come un Comandante intrepido, un artista, insomma un Cavaliere che sfida la morte e il diavolo. Per lui, il Che andò a cercar la bella morte: «Ci sono mille modi di suicidarsi. Balzac scelse il caffè, Verlaine l'assenzio, Rimbaud l'Etiopia, l'Occidente la democrazia, e Guevara la giungla». Cau lasciò uno splendido testamento ideale con una prefazione di Alain de Benoist, che uscì postumo in Italia col titolo I popoli, la decadenza, gli dei (ed. Settecolori). Ma l'opera che riassume la sua visione del mondo fu proprio quella dedicata all'incisione di Durer, Il Cavaliere la morte e il diavolo (1977)
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“Ero esigente, asciutto, piuttosto duro. Credevo in certe cose, in certi ideali, in certi valori. Poi incontro Sartre e mi impegno in sezioni dell’intellighenzia francese. Con mio grande stupore, cosa scopro? Che questi intellettuali erano tutti di origine borghese, ma adoravano il popolo e la sinistra. Non hanno mai visto un lavoratore in vita loro, hanno dei domestici, delle cameriere, degli schiavi, insomma, ma sono di sinistra. C’era un atteggiamento nevrotico, un regolamento di questioni personali. Incapaci di essere se stessi, sono andati dal popolo”.
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