Si cita spesso La Boétie, grandissimo amico di La Montaigne morto cosí giovane, perché seppe, prima di morire, tanto tempo fa, parlarci in termini superbi e cristallini de La servitú volontaria, usando una frase essenziale e luminosa — che sembra non sia assolutamente sua, lo preciso con il mio Wiki alla mano — e questo spiega quello — e si dice dunque che è del rivoluzionario tuttavia ghigliottinato Pierre Victurnien Vergneaud—, ma insomma frase che ci servirà altrettanto bene, ne converrete: «I tiranni sono grandi solo perché noi siamo in ginocchio» Anche se non fosse sua, facciamone un’analisi con gli strumenti che lui ci dà, e che utilizziamo a modo nostro […], Significa che i tiranni non sono «grandi» per natura, e dunque sono «piccoli» e «deboli» per natura, ed è dunque questione di natura, voglio dire d’ontologia; vuol dire che che siamo asserviti solo a causa di una «postura» (in ginocchio) e affatto per una natura, un’ontologia che sarebbe quella dell’asservimento. Di conseguenza, lo sconcerto di La Boétie di fronte alla «servitú volontaria» è facilmente comprensibile, e lo condividiamo, in particolare al riguardo delle descrizioni che le penne autodefinentesi rivoluzionarie ci presentano, di masse innumerevoli che stanno, dicono queste penne, innumerevoli in ginocchio e senza muoversi
Cosa veramente sorprendente [è] vedere milioni di milioni di uomini, miseramente asserviti, e sottomessi a testa bassa, ad un deplorevole giogo, non che siano costretti da una forza superiore, ma perché sono affascinati, e per cosí dire, stregati dal solo nome di uno, che essi non dovrebbero temere, dato che è solo, né amare, dato che è, verso tutti loro, disumano e crudele.
Ma non è meglio, prima di tutto, sapere precisamente di chi parla l’autore e moralista La Boétie? Perché a leggere questo brano successivo (vedi piú avanti) della sua opera, si scopre che i veri oppressi non sono affatto quelli che si ritiene il tiranno opprima, quel popolo che i critici fustigano come «pecore» incapaci della minima ribellione; ma ben diversamente, quelli che, nei salotti e nelle redazioni, servono al tiranno da complici zelanti e da premurosi servitori. (Tradotto in linguaggio , diremmo che quelli che praticano la servitú volontaria — e si capisce perché — sono prima di tutto le élitesSistema gli intellettuali-zombie che servono il tiranno, vale a dire il Sistema).
[Ed è] cosí che il tiranno asservisce i soggetti gli uni mediante gli altri… ¶ Perché a dire il vero, avvicinarsi al tiranno, è forse cosa diversa dall’allontanarsi dalla propria libertà e, per cosí dire, abbracciare e stringere tra le mani la propria servitú? Che essi mettano un momento da parte la loro ambizione, che si svincolino un po’ dalla loro avidità, e poi si guardino; prendano in considerazione se stessi: vedranno chiaramente che quei paesani, quei contadini che essi calpestano e trattano da forzati e schiavi, vedranno, dico, che quelli, cosí malmenati, sono piú felici di loro e in qualche modo piú liberi. Il lavoratore e l’artigiano, per asserviti che siano, se la sbrigano obbedendo; ma il tiranno vuole, da quelli che lo circondano, che civettino e mendichino il suo favore. Occorre non solo che facciano ciò che ordina, ma che pensino quello che lui vuole…
Cosí sembra che, secondo La Boétie, non si tratti tanto di battersi, di «darsi alla macchia», di uscire contro i carri armati e opporre loro splendidi petti nudi, bensí di agire d’astuzia, prendere di contropiede il bestione, organizzare una resistenza passiva, che dovrebbe essere, per la nostra epoca, la chiave stessa della resistenza; e che migliore resistenza passiva oggi di quella della comunicazione, dal momento che il Sistema ce ne dà i mezzi dato che lui, il Sistema, ha bisogno della comunicazione come di ossigeno per sopravvivere? Dice esplicitamente, La Boétie, a noi che disponiamo degli strumenti della comunicazione, non per tenere la testa del popolo sott’acqua ma per tirargliela fuori […]:
Nello stesso modo i tiranni, piú saccheggiano, piú esigono, piú rovinano e distruggono, piú gli si concede, piú li si serve, e tanto piú si fortificano e diventano sempre piú forti e piú freschi per annientare e distruggere tutto; e se non gli si concede nulla, se non gli si obbedisce affatto, senza combattere, senza colpire, essi restano nudi e disfatti e non sono piú nulla, come il ramo diventa secco e morto non avendo piú radice, umori o alimenti.
Tante penne, che si dicono ribelli ovvero indomabili, che si vantano di essere una sorta, diciamo, di «veri antisistema» [...],tali penne ribelli sulla carta fanno di questa forma di «servitú volontaria» un carattere centrale del popolo della nostra civiltà. Essi dimenticano di citare questo, che pure La Boétie scrive, [...] che vale per quelli che preferiscono udire piuttosto che ascoltare se stessi per udire solo quello che essi vogliono dire: «Perché il fuoco che mi brucia è quello che mi illumina.»
Trasposta la frase nella situazione attuale, La Boétie ci dice che l’oppressione che ci costringe oggi «ci illumina» sull’esistenza di questa oppressione. È una delle contraddizioni piú evidenti, e piú significative, dell’attuale situazione, e anche la piú inquietante, la piú pressante, quella davanti la quale gl’imbecilli vanesi e acidi, che fanno professione di rivolta coltivando con cura l’assenza completa di speranza a questo riguardo, fanno la piú completa oblazione di «servitú volontaria». Questi imbecilli acidi e vanesi non vedono che l’esistenza palese e feroce dell’oppressione è proprio questo «fuoco che mi brucia e che m’illumina»; che senza l’oppressione non saprei conquistare la mia libertà, e poiché l’oppressione c’è, so bene come conquistare la mia libertà? [...]
Philippe Grasset
SERVO E PIÚ S E RVO
Il Covile N°570. Gazzetta. Servo e piú servo.
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