domenica 2 ottobre 2022

Jacob Presser La notte dei Girondini Traduzione di Primo Levi



RISVOLTO

Uno degli aspetti più terrificanti nella macchina infernale dei campi di concentramento nazisti è stato senz’altro l’utilizzazione e lo sfruttamento per fini distruttivi di un certo odio di sé ebraico, di cui già nell’Ottocento dà testimonianza tutta una serie di pubblicazioni antiebree ad opera di ebrei. Questo sentimento ambiguo e autodenigratore era vivo in particolare fra gli ebrei occidentali agiati, che più tenacemente volevano l’assimilazione nei paesi dove vivevano. È un tema difficile, intricato e sconcertante – e su di esso è centrato il breve, intensissimo romanzo che qui presentiamo, scritto dallo storico olandese Jacob Presser sulla base di esperienze anche dirette della persecuzione nazista in Olanda.

Il giovane protagonista, ebreo di origine portoghese, professore di storia in una scuola di Amsterdam, è tormentato dall’idea dell’assimilazione, da una volontà cocciuta di nascondere il suo ebraismo, che gli fa sentire il fascino di laide corporazioni studentesche e perfino del movimento fascista. Siamo durante l’ultima guerra: l’Olanda è sotto il dominio nazista e gli ebrei di Amsterdam scompaiono a poco a poco. I nazisti li rinchiudono nel campo di concentramento di Westerbork, da cui partono con inesorabile regolarità convogli per Auschwitz. E paradossalmente, proprio per salvarsi dalla persecuzione, il giovane professore decide di farsi internare anche lui a Westerbork, ma in una posizione di comando, che lo obbliga all’orrendo compito di amministrare le vittime.

Qui gli si farà luce su tutto: non solo sulla mostruosa impresa nazista, ma sulla cecità delle sue vittime, convinte di essere al sicuro, ciascuna su una ‘lista’ segreta di privilegiati, che non dovranno mai partire per Auschwitz. Queste liste invece «saltano» a una a una: la tortura per mezzo della speranza è infatti il più beffardo e atroce trucco dei nazisti per mantenere l’ordine nei campi. Passando attraverso episodi che sanno illuminare l’orrore con pochi e memorabili tratti, mentre si delinea la straordinaria figura del feroce Cohn, ebreo collaborazionista da cui dipende la vita di tutti nel campo, e a contrasto quella del giovane ‘rabbi’ Geremia Hirsch, che aspetta lucidamente il destino leggendo la Scrittura, il racconto precipita verso la sua tragica fine: per il protagonista, infatti, penetrare dietro la cortina di fantasmi che hanno avvolto la sua vita e quella di tanti suoi parenti e amici vuol dire riconoscere la propria degradazione e con ciò condannarsi a morte. Non senza, però, aver compiuto un gesto di rivolta che capovolge i termini della sua breve vita di cieco e delicato intellettuale.

La notte dei Girondini apparve per la prima volta nel 1975.


https://www.adelphi.it/libro/9788845913372



Lo spazio tra carnefici e vittime è una zona grigia, non è un deserto“, spiega Levi. E quella zona grigia, tutt’altro che desertica, è spesso popolata da individui che hanno avuto ruoli quanto meno equivoci e, visti al di fuori di un certo contesto, senz’altro esecrabili. Ed è esattamente nella zona grigia di cui dice Levi che si muove il protagonista de “La notte dei Girondini”, l’olandese Jacques Suasso Henriques, insegnante di storia presso l’unico Liceo Ebraico che i tedeschi permettono che esista ad Amsterdam. Suasso è un ebreo di origini portoghesi, un dettaglio che, nel 1943, non cambia praticamente nulla agli occhi dei nazisti. Lo sa bene il suo allievo Georg Cohn:“… perché nel 1703 c’era un Henriques che abitava ad Oporto. Le so dire quanto le servirà! […] Prima dell’estate setacceranno tutta Amsterdam. Lei conta di nascondersi?” Il ragazzino sembra conoscere il fatto suo e forse anche qualcosa in più. Per questo invita l’insegnante a diventare l’aiutante di suo padre, capo del Servizio d’Ordine ebraico nel campo di concentramento di Westerbork, nella provincia olandese del Drente, affinché diventi un uomo vero, un uomo forte e determinato e, soprattutto, un ebreo in meno da far salire sui treni per Auschwitz.

Suasso è un ebreo. Cohn è un ebreo. Entrambi si ritrovano al centro di quella zona grigia indagata spesso anche da Levi attraverso le sue opere. Sono ebrei ma sono al servizio diretto degli aguzzini tedeschi. Collaborano con loro, rastrellano altri ebrei, li catturano, li conducono al campo, stilano le liste e li chiudono nei treni piombati destinati ad arrivare nei campi di sterminio in Polonia. “O loro o io“, spiega Cohn padre a Suasso appena arrivato a Westerbork. Il principio appare infallibile. Se quel che c’è da fare non lo fa Cohn, lo farà sicuramente un altro ebreo al posto suo: “Che cosa vorresti fare? E che cosa posso fare io, che cosa possiamo fare noi, qui?“. Una domanda che fa da inciampo a migliaia di discussioni venute dopo la Shoah. Cosa potevano fare quegli ebrei che per non diventare vittime si sono tramutate in carnefici? Potevano davvero fare qualcosa? La loro era solo paura, viltà, meschinità? E se così fosse, basta tanto a giustificare la mutazione in carnefici e, quindi, la morte di tante persone?

“La notte dei Girondini” non è altro che il memoriale di Henriques. Ormai l’uomo si trova in una baracca, come tutti gli altri ebrei di Westerbork, in attesa di essere messo su un treno che lo condurrà allo sterminio. La sua posizione di aiutante dell’ebreo più potente del campo è compromessa. Non gli resta altro che ricordare e, per quel che serve, confessare le proprie colpe. Lo deve al nuovo se stesso, probabilmente. A quel nuovo sé affiorato grazie alle parole scambiate con Jeremia Hirsch, un insegnante di religione ebraica rinchiuso a Westerbork con la sua famiglia. L’ebreo occidentale, come spiega Levi nella premessa, è profondamente integrato con la cultura nazionale di cui è parte, “talmente intrecciato con la cultura del paese-ospite da non possedere, come è noto, una lingua propria. […] La figura dell’ebreo contento del suo ebraismo, a cui il suo ebraismo basta (l’immortale Tevie il lattivendolo, di Schalom Alechem), in Occidente è rara o manca“. E Suasso è un ebreo occidentale fatto e finito. Vive sotto un regime violento ed ostile e non sopporta il proprio ebraismo. Lo trova detestabile, scomodo e sconveniente. Molti ebrei occidentali sembrano aver scoperto la propria appartenenza religiosa solo dopo le persecuzioni naziste. Prima non faceva differenza, non era rilevante e, comunque, non aveva particolare valore.

“La notte dei Girondini” è un romanzo breve uscito nel 1957. Presser, il suo autore, è uno storico ebreo olandese che, durante il Nazismo, è riuscito a nascondersi e a sfuggire ai rastrellamenti. Nel 1975 Levi ha chiesto la pubblicazione di questo libro curandone personalmente la traduzione, poiché, seppur evidenziando la qualità non eccellente della narrazione che appare spesso un po’ troppo leziosa ed artefatta, riconosce al romanzo di Presser valori rilevantissimi. In primis la verosimiglianza della storia. Nonostante Presser non abbia mai fatto esperienza diretta, è riuscito a descrivere la deportazione in maniera impeccabile e veritiera. Inoltre, come ho scritto poco sopra, a “La notte dei Girondini” va il merito, secondo Levi, di essersi soffermato sulla crisi di identità dell’ebreo occidentale e, soprattutto, di aver analizzato, in maniera ancora nuova alla fine degli anni ’70, quella “zona grigia” che mescola e sovrappone vittime ed aguzzini.


https://www.lankenauta.it/?p=9239


Primo Levi e La notte dei Girondini


Si tratta di un testo importante, il primo in cui Levi parla esplicitamente di quella che sarà la “zona grigia”, ovvero l’ampia area che separa i carnefici dalle vittime, che troverà la sua definizione nell’omonimo capitolo de I sommersi e i salvati nel 1986. Il passo della nota a Presser suona così: “da molti segni pare sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa le vittime dai carnefici, e di farlo con mano più leggera, e con spirito meno torbido, di quanto non si sia fatto ad esempio in alcuni recenti film ben noti”. Il film cui allude è quello di Liliana Cavani, Portiere di notte, di cui parlerà ancora.


Di nuovo riaffiora, seppur in modo diverso, un aspetto che gli era già chiaro vent’anni prima, nel 1955, quando aveva scritto un intervento (Anniversario): il nazionalsocialismo non santifica le vittime. Oggi aggiunge: «le degrada e le sporca, le assimila a sé, e ciò tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un’ossatura politica o morale». Cohn, prototipo dell’ebreo che collabora con i nazisti per sopravvivere, è detestabile e mostruoso, «ma la sua colpa è il riflesso di un’altra colpa ben più grave e generale».

sta in

https://www.doppiozero.com/primo-levi-e-la-notte-dei-girondini

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