domenica 23 febbraio 2025

dalla librerie di Casa Il Rito del Commiato a cura della Fondazione Ariodante Fabbretti di Torino

 



Questo volume intende costituire un primo testo di riferimento per coloro, amministratori pubblici, enti morali, operatori funerari che vogliano accostarsi alla tematica del rito del Commiato, alla sua celebrazione mediante l’allestimento di sale del Commiato e alla formazione di cerimonieri in grado di gestire i rituali. In Italia, dove ancora molto poche sono le realizzazioni in questo senso, vi è tuttavia un fermento nel mondo civile, che, sempre più secolarizzato, benché non antiritualista, chiede ai suoi amministratori di dargli la possibilità di celebrare riti non religiosi, personalizzati, volti a commemorare la vita di chi è scomparso. Il presente libro nasce da una duplice esperienza: da un lato l’ormai decennale tradizione di rituale del Commiato al Tempio Crematorio, curato dalla Fondazione Fabretti per incarico della SOCREM di Torino; dall’altra parte il Progetto Caronte, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, che ha permesso alla Fabretti, insieme ad altri partner (Esaco, Istituto di Tanatologia e Medicina Psicologica, Federcofit) di mettere a punto un ampio programma di formazione per una nuova figura in ambito funerario, quella del cerimoniere, e di valutare tale percorso mediante uno specifico corso sperimentale



TITOLO DI ALCUNI CONTRIBUTI  PRESENTI NEL LIBRO

Il rito funebre: alcune considerazioni introduttive-Autore Adriano Favole 


crisi della ritualità tradizionale in Italia- Autore  
Luigi Berzano 

Necessità e possibilità dell'azione nei funerali laici -Autore Valerio Petrucciani

Il rito del Commiato. autrice Marina Sozzi 



UNA ESIGENZA SEMPRE PIÙ SENTITA ANCHE IN ITALIA
IL RITO DEL COMMIATO

autrice. MARINA SOZZI  già Segretaria  Generale della Fondazione Ariodante Fabretti di Torino. Sul tema dei riti funebri ha scritto, tra l'altro: M. Sozzi, Ch. Porset, Il sonno e la memoria. Idee della morte e politiche funerarie durante la Rivoluzione francese, Torino, Paravia-Scriptorium, 1999, e M. Sozzi (a cura di) La scena degli addii. Morte e riti funebri nella società occidentale contemporanea, Torino, Paravia-Scriptorium, 2001

Scrive di sé 

Anno 1960, vivo a Torino da trent’anni. Sono una filosofa atipica, interessata a tutte le scienze sociali. Da circa vent’anni lavoro nel mondo non profit: per diciassette sono stata direttore di una fondazione la cui mission era incentrata sul tema della morte e dell’aiuto al lutto. Oggi ho messo le mie competenze (tra cui quelle di raccolta fondi, approfondite in un master di Fundraising all’Università di Bologna) a disposizione di svariati enti. Nel mio percorso professionale non sempre lineare, non ho mai smesso di faretre cose: occuparmi del mondo non profit, studiare, e scrivere. Tra i libri che mi stanno a cuore, Virtuoso e felice. Il cittadino repubblicano di Helvétius (ETS, 2000) e Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia (Laterza 2009).


qui il suo curriculum aggiornato alla data di dicembre 2019 



Sito della Fondazione Fabbretti 






NOTIZIE STORICHE SU ARIODANTE FABBRETTI 

Personaggio eclettico, Fabretti, appassionato massone, fu patriota, segretario dell’Assemblea Costituente della Repubblica Romana, archeologo, direttore del Museo Egizio, fondatore della Società per la Cremazione. Nel 1876 fu eletto Senatore del Regno. Per i suoi contributi scientifici ricevette i più alti riconoscimenti: fu accademico della Crusca e dei Lincei, insignito della Legion d’Onore e nominato Commendatore della Corona d’Italia








sabato 15 febbraio 2025

ASCESI di Fosca Salmaso




Farfalla

assemblaggio, Scatola di legno, 2017

autrice Simona Cozzupoli 



ASCESI

di Fosca Salmaso

Si spogliò. Lo fece velocemente, lo sguardo fisso su una delle assi brune del parquet, abbassò la cerniera della gonna e lasciò che si adagiasse attorno ai suoi piedi. Slacciò uno alla volta i bottoni della camicetta rossa, abbassò le braccia e la lasciò cadere sulla pozza verde della gonna. Lara si ritrovò al centro di quei tessuti colorati come il polline di un giglio deforme. Li calciò da parte e poi si abbassò a togliere le scarpe col tacco.

- Quelle puoi tenerle. - Disse la ragazza che l’aveva chiamata per l’intervista. - Si vedono ancora meglio, così. Quelle tienile.

Lara obbedì, senza staccare lo sguardo dagli indumenti sparsi a terra. Poi si avviò verso la parete a specchio e lasciò che l’uomo la fotografasse. Quando lui le disse di inclinare la testa lei lo fece, quando le disse di inarcare la schiena lei lo fece, quando le disse di guardare in basso e poi a destra e di alzare un braccio e di distendersi, lo fece. Poi lui abbassò la macchina fotografica e l’intervistatrice la informò che avevano finito. Lara tornò verso i propri vestiti.

- Aspetta - Disse l’uomo. Le si avvicinò, riempiendole le narici di un odore dolciastro, poi allungò una mano e la strinse intorno alla sua anca sporgente. Lara sentì le unghie curate dell’uomo incidere una serie di mezzelune sulla sua pelle mentre le stringeva il fianco; infine lui si allontanò, lasciandola rivestire.

Lara percorse il tragitto verso casa con passo veloce, scandito dal rumore dei sui tacchi alti contro il marciapiede. Aveva voglia di lavarsi con la spugna secca fino a strapparsi di dosso la pelle.

Il giorno dopo, il campanello di Lara suonò di buon’ora. Era riuscita ad addormentarsi solo all’alba; alzarsi dal letto richiese uno sforzo considerevole, e quando ci riuscì le ci volle un po’ per bilanciarsi sulle caviglie sottili. Il campanello trillò di nuovo.

- Un momento - Biascicò. Si avvolse nella sua vestaglia nera e spalancò la porta.

- Spero di non averti svegliata.

Lara mise a fuoco il volto di Saverio. Gli sorrise e scosse la testa.

- Non ti preoccupare. - Si allontanò dalla soglia e lo lasciò entrare nel salotto. - Mi fa piacere tu sia passato. Hai voglia di fare colazione?

L’uomo non rispose. La abbracciò forte, a lungo. Lara ridacchiò e lo allontanò piano da sé con un gesto delle dita lunghe.

- Hai voglia di fare colazione? - Ripeté.

Saverio sedette sul divano, afferrandola per un gomito, e la trascinò verso di sé con un gesto lento. Lei si aggrappò al bracciolo rosso.


 - Ho letto il pezzo su di te. L’hanno letto tutti.

Lara prese a mordersi l’unghia dell’indice.

- Non c’era molto da leggere, temo. Mi avevano detto

sarebbe stato... alla fine volevano solo delle fotografie.

- Sì, quelle fotografie... - Saverio avvicinò il volto a quello di lei. - Non ti avevo mai vista così. Intendo, non me ne ero mai reso conto.

Lara sentì l’unghia spezzarsi tra i suoi denti. Si alzò in

piedi. - Allora, cosa posso offrirti? Lui continuava a guardarla.

La ragazza si strinse la vestaglia attorno al corpo, incrociò le braccia. - Caffè, tè, latte... di solito per colazione cosa...

Saverio continuava a guardarla, ma era come se non la vedesse. Guardava il suo costato sotto la vestaglia e sotto il pigiama e sotto la pelle e la carne e il sangue e il suo sguardo la perforava e bruciava. Lara premette i palmi aperti delle mani contro il petto per ripararlo da quella lama sottile. Si sentiva improvvisamente più bassa del solito, o forse era lui a sembrare più alto, troppo alto per lei e per i soffitti e per le sedie di quella casa.

- Biscotti, pane tostato... o anche frutta, una fetta di torta... se vuoi te la scaldo... - Continuava a dire parole a caso, continuava a parlare e nemmeno sentiva la propria voce, voleva solo, voleva solo disperatamente che lui reagisse, anche solo con un cenno del capo, a quello che gli stava dicendo. Lo guardava fisso negli occhi e cercava un lampo che la rassicurasse sul fatto che sì, lui era lì per lei e adesso avrebbero fatto colazione insieme come sempre e riso di quell’articolo e magari avrebbero fatto una passeggiata fino alla gelateria della piazza e poi si sarebbero salutati con due baci sulle guance come due vecchi amici, come i vecchi amici che erano, e invece lui si alzò in piedi e la afferrò per le spalle e la scaraventò distesa sul divano facendole sussultare la testa e scricchiolare le vertebre del collo.

Le si avventò contro, afferrando i lembi della vestaglia, e lei rimase immobile. Con la mente cercò di convincere la propria vestaglia a rimanere chiusa, a saldarsi attorno al suo corpo come un’armatura di pietra scolpita migliaia di anni prima e che per altrettanto tempo sarebbe rimasta inviolata, aderente alla sua pelle, a metà tra un abbraccio e un sepolcro. Invece Saverio la aprì con uno strattone e la lana nera e pesante si accasciò attorno al corpo di Lara - ali di una farfalla infilzata dallo spillo di un collezionista. Lui guardava il suo sterno sollevarsi e abbassarsi affannato. Lei serrò gli occhi e mugolò qualcosa - preghiera, lamento. Lui aprì la bocca e disse: - Voglio solo toccarle, non ti farò nulla, voglio solo toccarle. - E lei serrò la sua e ricordò il giorno in cui l’aveva conosciuto, una spiaggia tranquilla in un giorno di sole, un ombrellone arancione e una fetta di anguria.

Le mani di lui si spostarono più in basso e le sollevarono la maglia del pigiama. Lei udì il rumore delle onde. Le mani salirono, marmo freddo e duro, lungo il suo ventre infossato e lei sentì la sabbia tra le dita dei piedi. Le dita si infilarono negli spazi tra una costola e l’altra e lei vide un castello di sabbia costruito da dei bambini, con tutto attorno uno scivolo a chiocciola per le biglie. Poi le unghie di lui...la lana nera e pesante si accasciò attorno al corpo di Lara - ali di una farfalla infilzata dallo spillo di un collezionista. lacerarono la sua pelle e si infilarono nella ferita, allargandola con i polsi forti, e Lara sentì il sangue caldo fluire e non vide più niente.

Quando rinvenne era ancora sul divano. Si trasse a sedere e una fitta le trafisse il petto, strappandole un grido. Abbassò lo sguardo verso la maglia del pigiama, che si era riabbassata fino all’ombelico, la sollevò e vide lo squarcio all’altezza della costola inferiore. Si allargava e richiudeva al ritmo del suo respiro, come un paio di labbra boccheggianti. Lara si trascinò fino al telefono.

L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo, quando lei era già ripiombata sul divano. Andandosene, Saverio aveva lasciato la porta aperta. Fu una fortuna, perché Lara non era sicura che avrebbe avuto le forze di alzarsi di nuovo per far entrare i soccorritori.

Erano tre, e si avvicinarono al divano con delle valigette nere che deposero a terra.

- Una costola, è corretto? Ce la mostri.

Lei sollevò di nuovo la maglia e ruotò debolmente il busto per mostrarlo ai medici. – No, la costola non c’è più. Credo me l’abbia rubata. Credo... se la sia portata via, non c’è più...

L’uomo più vicino al divano si abbassò sui calcagni e guardò lo squarcio nel petto di Lara. Estrasse dalla tasca un guanto verde, lo calzò e toccò i margini sbrindellati della ferita, esercitando una leggera pressione. Annuì. - Non c’è più.

Lei continuò a piangere. - Potete ricucirla? Potete darmi qualcosa? Fare qualcosa? Fa un male cane, è insopportabile.

L’uomo fece scorrere un dito guantato lungo la sua pelle. Il lattice procedeva a scatti a causa dell’attrito, dando l’impressione che vi stesse picchiettando sopra. – Le altre sono tutte al loro posto. Non si preoccupi, non è poi così grave.

- Mi dia qualcosa. - lamentò Lara. - Qualsiasi cosa. Per il dolore. - Si rivolse agli altri due uomini. -Vi prego.

I due stavano ai piedi del divano e la guardavano fisso, l’uno accanto all’altro, identici e seri come statue erette all’ingresso di un tempio antico.

- Qualsiasi cosa. - Gemette ancora lei.

 L’uomo che le stava accanto aprì una delle valigette e ci frugò dentro.

- Grazie. - Disse lei. Sgranò gli occhi. – Dio, grazie, non ce la faccio più.

Lui le avvicinò alla bocca il palmo di una mano. C’erano tre pillole nere.

- Ecco qui. Le butti giù e non sentirà nulla.

Gliele depose sulla lingua una per una, e quando Lara sentì la terza raggiungere lo stomaco il dolore sparì.

Ricadde distesa sul divano, pervasa dal sollievo. D’ora in poi ringrazierò per ogni secondo privo di dolore della mia vita, per ogni istante, per ogni persona gentile, Dio, grazie.

Uno dei due uomini che ancora non si erano mossi si chinò ad afferrarle le caviglie, mentre l’altro fece il giro del divano. Sentì le sue mani stringerle le spalle.

Il terzo uomo continuò a frugare nella valigetta e pochi istanti dopo ne estrasse una pinza metallica. Prima di avvicinarla al suo costato rimase qualche secondo a guardarlo, le labbra umide. - Dio, sono bellissime. - Disse.

 Lei fissò il soffitto.

Non sentì nulla davvero, se non l’odore caldo del proprio sangue e gli scricchiolii secchi nei punti da cui gli uomini le strapparono tre ossa bianche e perfette. Le riposero in una delle valigette e se ne andarono da dove erano venuti. Nemmeno loro richiusero la porta.

La folla cominciò ad affluire poche ore dopo.

All’inizio erano in gruppi di tre o di quattro, ognuno inventava una scusa diversa – chi veniva a chiedere dello zucchero, chi un bicchiere d’acqua -, ma presto smisero di giustificare la loro presenza. La attorniarono e lei lasciò che le rubassero le falangi delle dita dei piedi e delle mani una per una; nella sua testa nominò una dopo l’altra le ossa che le vennero asportate, omero ulna tibia perone clavicola scapola rotula anca costa mascella. Ognuno usava un mezzo diverso per amputare il suo scheletro perfetto – c’era chi aveva portato delle tenaglie, chi una sega, chi una pinza, alcuni adoperarono le mani. Se le contendevano come cani, A me il metacarpo, A  me il calcagno, e lei presto smise di vedere e sentire. Percepì soltanto che stava diventando sempre più piccola e leggera, che ciò che faceva di lei Lara si stava concentrando in un globo blu al centro dell'addome, e si convinse di non aver bisogno di camminare, muoversi, parlare, finché quella sfera luminosa e calda fosse rimasta al suo posto. Fissava il soffitto e dalle sue pupille irradiava un fascio di luce che usò per scrivere su quella superficie bianca il proprio testamento. Ho lottato con tutte le mie forze per essere come sono e adesso ci sono riuscita e pensavo fosse questo l’amore, e intanto i cani soddisfatti tornavano a casa, ognuno con il proprio trofeo candido che ancora conservava il calore della pelle e del sangue di Lara.

Uno ad uno se ne andarono, e a contenere la sua sfera luminosa e il suo cuore che ancora batteva non erano rimaste che parte del cranio e la spina dorsale. Tutto intorno, brandelli. Rimase sola.

Posso rimanere così anche per tutta la vita, pensò. Chissà come sarà, senza più ossa. Chissà come sarà potersi concentrare sulla mia sfera blu e basta basta basta nient’altro.

 Ci mise un po’ ad accorgersi di una figura, l’ultima rimasta nella stanza, nell’ombra. Era la sagoma massiccia di un uomo.

Lo riconobbe dall’odore e dal ciuffo ribelle di capelli che gli cresceva sulla tempia, puntando verso l’alto.

- Fratello. - Tentò di mugolare, ma la sua mascella era stata portata via da un uomo che indossava una camicia verde e gialla e Lara non poté emettere che un suono gutturale.

Lui però capì, le sedette accanto.

- Che ti hanno fatto? - Chiese. Rimase a guardarla per un po’. - Che ti hanno fatto, sorella mia.

Lei piangeva e lo guardava senza sbattere le palpebre.

- Non sono stati in grado di fermarsi. - La guardò negli occhi. - Avresti potuto fare qualcosa.

Lei scosse la testa lentamente.

- Sì, le tue ossa... avresti dovuto nasconderle. Non

avresti mai dovuto lasciare che ti scattassero quelle fotografie.

 Lei continuò a muovere a destra e a sinistra quel che rimaneva della propria testa, gli occhi in quelli di lui, che erano identici ai suoi. Ma di legno.

- Non posso lasciarti così.

Lei scosse la testa più velocemente.

- Non posso. Ti amo troppo, sorella.

Lei scosse la testa ancora di più, Non lo fare ti prego

non lo fare non lo fare non lo fare, ma lui si abbassò su di lei, la abbracciò e sfilò dalla sua schiena la spina dorsale, vertebra dopo vertebra, finché di lei non rimase che la sfera blu.

Fluttuando verso il cielo, la sfera poté osservare dall’alto tutte le ossa che un tempo erano appartenute al suo corpo. Erano tantissime, ognuna rinchiusa in una casa diversa, quindi le ci volle qualche minuto in più rispetto al tempo che di solito impiegano le sfere blu nel completare il loro percorso di ascensione.

Alcune ossa erano conservate sotto teche di vetro; altre erano state utilizzate come centrotavola, altre ancora erano state intagliate a formare anelli e collane e poi rinchiuse in


 cassetti di mobili in legno. Erano davvero le ossa più belle del mondo.

A partire da pochi giorni dopo, nessuno dei loro nuovi proprietari vi prestò più la minima attenzione.


sta in 

nadja rivista letteraria Aprile 2020 da pagina 61 a pag 75


https://e554a3e7-5d04-4379-a1f2-30a251af187f.filesusr.com/ugd/f5d004_ba085e5c3bf441a68649f6f99069e63e.pdf

martedì 28 gennaio 2025

GRAVITÀ. UN RACCONTO BREVE. autore anonimo

 






GRAVITÀ
Passarono molti anni. Sisifo si stancò di sollevare il suo masso sulla cresta della montagna, per poi vederlo rotolare di nuovo giù.

“Roccia, vecchia amica”, disse a se stesso una sera, alla fine di una lunga giornata di lavoro, “ho pensato”.

“Sì?” rispose la roccia.

“E se facessimo solo una parte della montagna? Solo fino alla prima curva?”.

“Sai”, disse la roccia, ‘potremmo anche smettere di risalire’”.

“Hm”, disse Sisifo, strofinandosi il mento. “Non salire affatto, insomma?”.

“Rimanere qui e basta. Fare qualcos’altro”.

“Hmm”, disse Sisifo. Pensò alle vesciche, alla pendenza, al sudore negli occhi. Un lavoro ingrato e interminabile. “Forse hai ragione. Tanto spingere le rocce è obsoleto. Mettiti al passo con i tempi”.

“Sul serio”, concordò la roccia. “Chi vuole andare in discesa?”.

Quella notte Sisifo si svegliò pensando a tutte le cose che avrebbe potuto fare se non avesse passato tutto il tempo a spingere un masso su per un pendio. Avrebbe potuto prendersela comoda, per esempio. Voltare pagina. Tornare a scuola. Avrebbe trovato un nuovo progetto che lo avrebbe impegnato completamente, qualcosa per cui impegnarsi davvero.

Al suo fianco, la roccia sognava la gravità e la polvere.

La mattina dopo, Sisifo si alzò prima dell’alba. Guardò la pianura, osservando tutti i panorami dell’Ade. C’erano i Prati degli Asfodeli, una sorta di lottizzazione dove non succedeva mai nulla, e il Tartaro, dove bande di Titani si contendevano il controllo. Riusciva a vedere le Danaidi che trasportavano l’acqua nei loro setacci, Tantalo che cercava il frutto sopra la sua testa, Orfeo che si girava per guardarsi alle spalle, prigioniero del suo stesso sospetto. Era un inferno là fuori, davvero un inferno.

”Roccia, vecchia amica”, esordì, voltandosi verso la montagna, “stavo riflettendo…”

“Oh, ma davvero?”.

E si rimisero in cammino verso la cima della collina.