Io ero M. H.
Lavoravo con molti altri attori teatrali, anche venti. Ma sapevo che la gente veniva soprattutto per vedere me. A me arrivava la più gran quantità di fiori, me la critica incensava come re del teatro di prosa del XXI secolo.
Avevo molte donne, naturalmente. Facevano la fila per entrare nel mio camerino e le più… fortunate… beh… potevano anche avere il mio indirizzo e-mail privato; le baciate da Dio, il mio numero di telefono.
Non che fossi ricchissimo, ma molto benestante direi di sì. Cosa si poteva volere di più dalla vita? Io fingevo d’essere un altro, e invece di cacciarmi dalla Città come predicava Platone, cacciarmi via come il massimo dei mentitori, avevo tutto ciò che un uomo normale sogna.
Suvvia Platone, restatene dove sei. Sono un Attore, non un pantomimo. Il mio fingere è sublime, è entrare nell’anima e nel corpo d’un altro o… viceversa. Quest'ultima cosa non l’ho mai capita.
Si fa il Macbeth; oh vertice d’ogni scena: IO sarò Macbeth.
Sono pronto.
Tutti zitti nel grande teatro. Qualche chiacchiera, forse un telefonino, qualche ssshhhhhhhh. Ma ben presto la nostre luce illuminerà il palcoscenico, la mia più di tutte.
Si apre il sipario, con le celebri streghe che prefigurano la mia vana gloria e sventura.
E’ il momento, entro in scena. Ho appena vinto sul campo di battaglia, riempito son di onori. Sono Macbeth, declamo i miei versi, adoro la mia voce e i miei gesti… ma… d'improvviso non esce più nulla, son paralizzato. Le corde vocali più non declamano. Non sento più il silenzio del teatro, solo una greve assenza di suono, “come un tuono di silenzio scavato”.
Signore, che accade? Sono cieco, sordo, muto, immobile, le braccia come legate al busto. E’ tutto sparito.
Sono morto?
No. Io penso. se fossi morto… non credo all’aldilà ed anche se fosse… non potrebbe essere questa assenza di ogni sensibilità. Che senso avrebbe?
Se sono morto, stroncato da un malore sulla scena, voglio spegnermi.
Morto.
E chi sarò poi stato? Un grande mentitore come disse Platone, un pantomimo?
No. Un attore. Un artista.
Ma brividi interni mi scossero. Se la mia vita fosse finita, che sarebbe stata davvero la mia arte. L’arte in genere. Consolazione? Distrazione? Un modo come un altro per guadagnarsi la vita? Una falsa corsa tra onorificenze mentre la gente sbadiglia in attesa del buffet?
Ero un borghese? Mi applaudivano per divagarsi?
Le donne volevano me o i miei centinaia di personaggi? Quante donne mi chiesero, e mi richiesero, di ripetere il monologo di Amleto.
Un atto di Aspettando Godot.
Ma qualcosa cambiava. Le membra si scioglievano, mi parve; sentivo nuovamente dei suoni, non ultimo quello della mia voce, ma lontano. Però potevo camminare e vedevo una luce. Mi incamminai. Nel mondo degli altri ero appena stato decapitato da Macduff.
Caddi giù dal palcoscenico. Sentivo il pubblico urlare e dolori ovunque. Vidi persone avvicinarsi e raccogliermi da terra, in una fitta lancinante alla spalla.
“Come sta Maestro?”
“Be… bene… cioè non so… sono tutto dolorante”
“Non sembra si sia rotto nulla”
“Ora vediamo”
Intanto Il presidente della compagnia aveva rassicurato tutti ed io potei sentire “Evviva il re di Scozia!” provenire dalla scena
Dopo che mi misero in ambulanza, con una spalla molto malconcia, il pubblico circondò il mezzo, né valevano le sirene.
Mai vidi tante persone piangere a un mio spettacolo. Quella gente mi voleva bene.
Le critiche del giorno dopo erano entusiastiche, pur menzionando il mio infortunio.
“Egli non era più lui”, scrisse qualcuno.
Avevo dato, mi dissero, e mi confermò il direttore della compagnia, la più bella interpretazione di Macbeth che si ricordasse da un secolo
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