domenica 23 febbraio 2025

dalla librerie di Casa Il Rito del Commiato a cura della Fondazione Ariodante Fabbretti di Torino

 



Questo volume intende costituire un primo testo di riferimento per coloro, amministratori pubblici, enti morali, operatori funerari che vogliano accostarsi alla tematica del rito del Commiato, alla sua celebrazione mediante l’allestimento di sale del Commiato e alla formazione di cerimonieri in grado di gestire i rituali. In Italia, dove ancora molto poche sono le realizzazioni in questo senso, vi è tuttavia un fermento nel mondo civile, che, sempre più secolarizzato, benché non antiritualista, chiede ai suoi amministratori di dargli la possibilità di celebrare riti non religiosi, personalizzati, volti a commemorare la vita di chi è scomparso. Il presente libro nasce da una duplice esperienza: da un lato l’ormai decennale tradizione di rituale del Commiato al Tempio Crematorio, curato dalla Fondazione Fabretti per incarico della SOCREM di Torino; dall’altra parte il Progetto Caronte, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, che ha permesso alla Fabretti, insieme ad altri partner (Esaco, Istituto di Tanatologia e Medicina Psicologica, Federcofit) di mettere a punto un ampio programma di formazione per una nuova figura in ambito funerario, quella del cerimoniere, e di valutare tale percorso mediante uno specifico corso sperimentale



TITOLO DI ALCUNI CONTRIBUTI  PRESENTI NEL LIBRO

Il rito funebre: alcune considerazioni introduttive-Autore Adriano Favole 


crisi della ritualità tradizionale in Italia- Autore  
Luigi Berzano 

Necessità e possibilità dell'azione nei funerali laici -Autore Valerio Petrucciani

Il rito del Commiato. autrice Marina Sozzi 



UNA ESIGENZA SEMPRE PIÙ SENTITA ANCHE IN ITALIA
IL RITO DEL COMMIATO

autrice. MARINA SOZZI  già Segretaria  Generale della Fondazione Ariodante Fabretti di Torino. Sul tema dei riti funebri ha scritto, tra l'altro: M. Sozzi, Ch. Porset, Il sonno e la memoria. Idee della morte e politiche funerarie durante la Rivoluzione francese, Torino, Paravia-Scriptorium, 1999, e M. Sozzi (a cura di) La scena degli addii. Morte e riti funebri nella società occidentale contemporanea, Torino, Paravia-Scriptorium, 2001

Scrive di sé 

Anno 1960, vivo a Torino da trent’anni. Sono una filosofa atipica, interessata a tutte le scienze sociali. Da circa vent’anni lavoro nel mondo non profit: per diciassette sono stata direttore di una fondazione la cui mission era incentrata sul tema della morte e dell’aiuto al lutto. Oggi ho messo le mie competenze (tra cui quelle di raccolta fondi, approfondite in un master di Fundraising all’Università di Bologna) a disposizione di svariati enti. Nel mio percorso professionale non sempre lineare, non ho mai smesso di faretre cose: occuparmi del mondo non profit, studiare, e scrivere. Tra i libri che mi stanno a cuore, Virtuoso e felice. Il cittadino repubblicano di Helvétius (ETS, 2000) e Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia (Laterza 2009).


qui il suo curriculum aggiornato alla data di dicembre 2019 



Sito della Fondazione Fabbretti 






NOTIZIE STORICHE SU ARIODANTE FABBRETTI 

Personaggio eclettico, Fabretti, appassionato massone, fu patriota, segretario dell’Assemblea Costituente della Repubblica Romana, archeologo, direttore del Museo Egizio, fondatore della Società per la Cremazione. Nel 1876 fu eletto Senatore del Regno. Per i suoi contributi scientifici ricevette i più alti riconoscimenti: fu accademico della Crusca e dei Lincei, insignito della Legion d’Onore e nominato Commendatore della Corona d’Italia








sabato 15 febbraio 2025

ASCESI di Fosca Salmaso




Farfalla

assemblaggio, Scatola di legno, 2017

autrice Simona Cozzupoli 



ASCESI

di Fosca Salmaso

Si spogliò. Lo fece velocemente, lo sguardo fisso su una delle assi brune del parquet, abbassò la cerniera della gonna e lasciò che si adagiasse attorno ai suoi piedi. Slacciò uno alla volta i bottoni della camicetta rossa, abbassò le braccia e la lasciò cadere sulla pozza verde della gonna. Lara si ritrovò al centro di quei tessuti colorati come il polline di un giglio deforme. Li calciò da parte e poi si abbassò a togliere le scarpe col tacco.

- Quelle puoi tenerle. - Disse la ragazza che l’aveva chiamata per l’intervista. - Si vedono ancora meglio, così. Quelle tienile.

Lara obbedì, senza staccare lo sguardo dagli indumenti sparsi a terra. Poi si avviò verso la parete a specchio e lasciò che l’uomo la fotografasse. Quando lui le disse di inclinare la testa lei lo fece, quando le disse di inarcare la schiena lei lo fece, quando le disse di guardare in basso e poi a destra e di alzare un braccio e di distendersi, lo fece. Poi lui abbassò la macchina fotografica e l’intervistatrice la informò che avevano finito. Lara tornò verso i propri vestiti.

- Aspetta - Disse l’uomo. Le si avvicinò, riempiendole le narici di un odore dolciastro, poi allungò una mano e la strinse intorno alla sua anca sporgente. Lara sentì le unghie curate dell’uomo incidere una serie di mezzelune sulla sua pelle mentre le stringeva il fianco; infine lui si allontanò, lasciandola rivestire.

Lara percorse il tragitto verso casa con passo veloce, scandito dal rumore dei sui tacchi alti contro il marciapiede. Aveva voglia di lavarsi con la spugna secca fino a strapparsi di dosso la pelle.

Il giorno dopo, il campanello di Lara suonò di buon’ora. Era riuscita ad addormentarsi solo all’alba; alzarsi dal letto richiese uno sforzo considerevole, e quando ci riuscì le ci volle un po’ per bilanciarsi sulle caviglie sottili. Il campanello trillò di nuovo.

- Un momento - Biascicò. Si avvolse nella sua vestaglia nera e spalancò la porta.

- Spero di non averti svegliata.

Lara mise a fuoco il volto di Saverio. Gli sorrise e scosse la testa.

- Non ti preoccupare. - Si allontanò dalla soglia e lo lasciò entrare nel salotto. - Mi fa piacere tu sia passato. Hai voglia di fare colazione?

L’uomo non rispose. La abbracciò forte, a lungo. Lara ridacchiò e lo allontanò piano da sé con un gesto delle dita lunghe.

- Hai voglia di fare colazione? - Ripeté.

Saverio sedette sul divano, afferrandola per un gomito, e la trascinò verso di sé con un gesto lento. Lei si aggrappò al bracciolo rosso.


 - Ho letto il pezzo su di te. L’hanno letto tutti.

Lara prese a mordersi l’unghia dell’indice.

- Non c’era molto da leggere, temo. Mi avevano detto

sarebbe stato... alla fine volevano solo delle fotografie.

- Sì, quelle fotografie... - Saverio avvicinò il volto a quello di lei. - Non ti avevo mai vista così. Intendo, non me ne ero mai reso conto.

Lara sentì l’unghia spezzarsi tra i suoi denti. Si alzò in

piedi. - Allora, cosa posso offrirti? Lui continuava a guardarla.

La ragazza si strinse la vestaglia attorno al corpo, incrociò le braccia. - Caffè, tè, latte... di solito per colazione cosa...

Saverio continuava a guardarla, ma era come se non la vedesse. Guardava il suo costato sotto la vestaglia e sotto il pigiama e sotto la pelle e la carne e il sangue e il suo sguardo la perforava e bruciava. Lara premette i palmi aperti delle mani contro il petto per ripararlo da quella lama sottile. Si sentiva improvvisamente più bassa del solito, o forse era lui a sembrare più alto, troppo alto per lei e per i soffitti e per le sedie di quella casa.

- Biscotti, pane tostato... o anche frutta, una fetta di torta... se vuoi te la scaldo... - Continuava a dire parole a caso, continuava a parlare e nemmeno sentiva la propria voce, voleva solo, voleva solo disperatamente che lui reagisse, anche solo con un cenno del capo, a quello che gli stava dicendo. Lo guardava fisso negli occhi e cercava un lampo che la rassicurasse sul fatto che sì, lui era lì per lei e adesso avrebbero fatto colazione insieme come sempre e riso di quell’articolo e magari avrebbero fatto una passeggiata fino alla gelateria della piazza e poi si sarebbero salutati con due baci sulle guance come due vecchi amici, come i vecchi amici che erano, e invece lui si alzò in piedi e la afferrò per le spalle e la scaraventò distesa sul divano facendole sussultare la testa e scricchiolare le vertebre del collo.

Le si avventò contro, afferrando i lembi della vestaglia, e lei rimase immobile. Con la mente cercò di convincere la propria vestaglia a rimanere chiusa, a saldarsi attorno al suo corpo come un’armatura di pietra scolpita migliaia di anni prima e che per altrettanto tempo sarebbe rimasta inviolata, aderente alla sua pelle, a metà tra un abbraccio e un sepolcro. Invece Saverio la aprì con uno strattone e la lana nera e pesante si accasciò attorno al corpo di Lara - ali di una farfalla infilzata dallo spillo di un collezionista. Lui guardava il suo sterno sollevarsi e abbassarsi affannato. Lei serrò gli occhi e mugolò qualcosa - preghiera, lamento. Lui aprì la bocca e disse: - Voglio solo toccarle, non ti farò nulla, voglio solo toccarle. - E lei serrò la sua e ricordò il giorno in cui l’aveva conosciuto, una spiaggia tranquilla in un giorno di sole, un ombrellone arancione e una fetta di anguria.

Le mani di lui si spostarono più in basso e le sollevarono la maglia del pigiama. Lei udì il rumore delle onde. Le mani salirono, marmo freddo e duro, lungo il suo ventre infossato e lei sentì la sabbia tra le dita dei piedi. Le dita si infilarono negli spazi tra una costola e l’altra e lei vide un castello di sabbia costruito da dei bambini, con tutto attorno uno scivolo a chiocciola per le biglie. Poi le unghie di lui...la lana nera e pesante si accasciò attorno al corpo di Lara - ali di una farfalla infilzata dallo spillo di un collezionista. lacerarono la sua pelle e si infilarono nella ferita, allargandola con i polsi forti, e Lara sentì il sangue caldo fluire e non vide più niente.

Quando rinvenne era ancora sul divano. Si trasse a sedere e una fitta le trafisse il petto, strappandole un grido. Abbassò lo sguardo verso la maglia del pigiama, che si era riabbassata fino all’ombelico, la sollevò e vide lo squarcio all’altezza della costola inferiore. Si allargava e richiudeva al ritmo del suo respiro, come un paio di labbra boccheggianti. Lara si trascinò fino al telefono.

L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo, quando lei era già ripiombata sul divano. Andandosene, Saverio aveva lasciato la porta aperta. Fu una fortuna, perché Lara non era sicura che avrebbe avuto le forze di alzarsi di nuovo per far entrare i soccorritori.

Erano tre, e si avvicinarono al divano con delle valigette nere che deposero a terra.

- Una costola, è corretto? Ce la mostri.

Lei sollevò di nuovo la maglia e ruotò debolmente il busto per mostrarlo ai medici. – No, la costola non c’è più. Credo me l’abbia rubata. Credo... se la sia portata via, non c’è più...

L’uomo più vicino al divano si abbassò sui calcagni e guardò lo squarcio nel petto di Lara. Estrasse dalla tasca un guanto verde, lo calzò e toccò i margini sbrindellati della ferita, esercitando una leggera pressione. Annuì. - Non c’è più.

Lei continuò a piangere. - Potete ricucirla? Potete darmi qualcosa? Fare qualcosa? Fa un male cane, è insopportabile.

L’uomo fece scorrere un dito guantato lungo la sua pelle. Il lattice procedeva a scatti a causa dell’attrito, dando l’impressione che vi stesse picchiettando sopra. – Le altre sono tutte al loro posto. Non si preoccupi, non è poi così grave.

- Mi dia qualcosa. - lamentò Lara. - Qualsiasi cosa. Per il dolore. - Si rivolse agli altri due uomini. -Vi prego.

I due stavano ai piedi del divano e la guardavano fisso, l’uno accanto all’altro, identici e seri come statue erette all’ingresso di un tempio antico.

- Qualsiasi cosa. - Gemette ancora lei.

 L’uomo che le stava accanto aprì una delle valigette e ci frugò dentro.

- Grazie. - Disse lei. Sgranò gli occhi. – Dio, grazie, non ce la faccio più.

Lui le avvicinò alla bocca il palmo di una mano. C’erano tre pillole nere.

- Ecco qui. Le butti giù e non sentirà nulla.

Gliele depose sulla lingua una per una, e quando Lara sentì la terza raggiungere lo stomaco il dolore sparì.

Ricadde distesa sul divano, pervasa dal sollievo. D’ora in poi ringrazierò per ogni secondo privo di dolore della mia vita, per ogni istante, per ogni persona gentile, Dio, grazie.

Uno dei due uomini che ancora non si erano mossi si chinò ad afferrarle le caviglie, mentre l’altro fece il giro del divano. Sentì le sue mani stringerle le spalle.

Il terzo uomo continuò a frugare nella valigetta e pochi istanti dopo ne estrasse una pinza metallica. Prima di avvicinarla al suo costato rimase qualche secondo a guardarlo, le labbra umide. - Dio, sono bellissime. - Disse.

 Lei fissò il soffitto.

Non sentì nulla davvero, se non l’odore caldo del proprio sangue e gli scricchiolii secchi nei punti da cui gli uomini le strapparono tre ossa bianche e perfette. Le riposero in una delle valigette e se ne andarono da dove erano venuti. Nemmeno loro richiusero la porta.

La folla cominciò ad affluire poche ore dopo.

All’inizio erano in gruppi di tre o di quattro, ognuno inventava una scusa diversa – chi veniva a chiedere dello zucchero, chi un bicchiere d’acqua -, ma presto smisero di giustificare la loro presenza. La attorniarono e lei lasciò che le rubassero le falangi delle dita dei piedi e delle mani una per una; nella sua testa nominò una dopo l’altra le ossa che le vennero asportate, omero ulna tibia perone clavicola scapola rotula anca costa mascella. Ognuno usava un mezzo diverso per amputare il suo scheletro perfetto – c’era chi aveva portato delle tenaglie, chi una sega, chi una pinza, alcuni adoperarono le mani. Se le contendevano come cani, A me il metacarpo, A  me il calcagno, e lei presto smise di vedere e sentire. Percepì soltanto che stava diventando sempre più piccola e leggera, che ciò che faceva di lei Lara si stava concentrando in un globo blu al centro dell'addome, e si convinse di non aver bisogno di camminare, muoversi, parlare, finché quella sfera luminosa e calda fosse rimasta al suo posto. Fissava il soffitto e dalle sue pupille irradiava un fascio di luce che usò per scrivere su quella superficie bianca il proprio testamento. Ho lottato con tutte le mie forze per essere come sono e adesso ci sono riuscita e pensavo fosse questo l’amore, e intanto i cani soddisfatti tornavano a casa, ognuno con il proprio trofeo candido che ancora conservava il calore della pelle e del sangue di Lara.

Uno ad uno se ne andarono, e a contenere la sua sfera luminosa e il suo cuore che ancora batteva non erano rimaste che parte del cranio e la spina dorsale. Tutto intorno, brandelli. Rimase sola.

Posso rimanere così anche per tutta la vita, pensò. Chissà come sarà, senza più ossa. Chissà come sarà potersi concentrare sulla mia sfera blu e basta basta basta nient’altro.

 Ci mise un po’ ad accorgersi di una figura, l’ultima rimasta nella stanza, nell’ombra. Era la sagoma massiccia di un uomo.

Lo riconobbe dall’odore e dal ciuffo ribelle di capelli che gli cresceva sulla tempia, puntando verso l’alto.

- Fratello. - Tentò di mugolare, ma la sua mascella era stata portata via da un uomo che indossava una camicia verde e gialla e Lara non poté emettere che un suono gutturale.

Lui però capì, le sedette accanto.

- Che ti hanno fatto? - Chiese. Rimase a guardarla per un po’. - Che ti hanno fatto, sorella mia.

Lei piangeva e lo guardava senza sbattere le palpebre.

- Non sono stati in grado di fermarsi. - La guardò negli occhi. - Avresti potuto fare qualcosa.

Lei scosse la testa lentamente.

- Sì, le tue ossa... avresti dovuto nasconderle. Non

avresti mai dovuto lasciare che ti scattassero quelle fotografie.

 Lei continuò a muovere a destra e a sinistra quel che rimaneva della propria testa, gli occhi in quelli di lui, che erano identici ai suoi. Ma di legno.

- Non posso lasciarti così.

Lei scosse la testa più velocemente.

- Non posso. Ti amo troppo, sorella.

Lei scosse la testa ancora di più, Non lo fare ti prego

non lo fare non lo fare non lo fare, ma lui si abbassò su di lei, la abbracciò e sfilò dalla sua schiena la spina dorsale, vertebra dopo vertebra, finché di lei non rimase che la sfera blu.

Fluttuando verso il cielo, la sfera poté osservare dall’alto tutte le ossa che un tempo erano appartenute al suo corpo. Erano tantissime, ognuna rinchiusa in una casa diversa, quindi le ci volle qualche minuto in più rispetto al tempo che di solito impiegano le sfere blu nel completare il loro percorso di ascensione.

Alcune ossa erano conservate sotto teche di vetro; altre erano state utilizzate come centrotavola, altre ancora erano state intagliate a formare anelli e collane e poi rinchiuse in


 cassetti di mobili in legno. Erano davvero le ossa più belle del mondo.

A partire da pochi giorni dopo, nessuno dei loro nuovi proprietari vi prestò più la minima attenzione.


sta in 

nadja rivista letteraria Aprile 2020 da pagina 61 a pag 75


https://e554a3e7-5d04-4379-a1f2-30a251af187f.filesusr.com/ugd/f5d004_ba085e5c3bf441a68649f6f99069e63e.pdf

martedì 28 gennaio 2025

GRAVITÀ. UN RACCONTO BREVE. autore anonimo

 






GRAVITÀ
Passarono molti anni. Sisifo si stancò di sollevare il suo masso sulla cresta della montagna, per poi vederlo rotolare di nuovo giù.

“Roccia, vecchia amica”, disse a se stesso una sera, alla fine di una lunga giornata di lavoro, “ho pensato”.

“Sì?” rispose la roccia.

“E se facessimo solo una parte della montagna? Solo fino alla prima curva?”.

“Sai”, disse la roccia, ‘potremmo anche smettere di risalire’”.

“Hm”, disse Sisifo, strofinandosi il mento. “Non salire affatto, insomma?”.

“Rimanere qui e basta. Fare qualcos’altro”.

“Hmm”, disse Sisifo. Pensò alle vesciche, alla pendenza, al sudore negli occhi. Un lavoro ingrato e interminabile. “Forse hai ragione. Tanto spingere le rocce è obsoleto. Mettiti al passo con i tempi”.

“Sul serio”, concordò la roccia. “Chi vuole andare in discesa?”.

Quella notte Sisifo si svegliò pensando a tutte le cose che avrebbe potuto fare se non avesse passato tutto il tempo a spingere un masso su per un pendio. Avrebbe potuto prendersela comoda, per esempio. Voltare pagina. Tornare a scuola. Avrebbe trovato un nuovo progetto che lo avrebbe impegnato completamente, qualcosa per cui impegnarsi davvero.

Al suo fianco, la roccia sognava la gravità e la polvere.

La mattina dopo, Sisifo si alzò prima dell’alba. Guardò la pianura, osservando tutti i panorami dell’Ade. C’erano i Prati degli Asfodeli, una sorta di lottizzazione dove non succedeva mai nulla, e il Tartaro, dove bande di Titani si contendevano il controllo. Riusciva a vedere le Danaidi che trasportavano l’acqua nei loro setacci, Tantalo che cercava il frutto sopra la sua testa, Orfeo che si girava per guardarsi alle spalle, prigioniero del suo stesso sospetto. Era un inferno là fuori, davvero un inferno.

”Roccia, vecchia amica”, esordì, voltandosi verso la montagna, “stavo riflettendo…”

“Oh, ma davvero?”.

E si rimisero in cammino verso la cima della collina.

martedì 17 settembre 2024

terzo capitolo: nei seguenti "passim vagantes" solo caos,disobbedienza , disordine,immediatezze



"Andando dritto al punto: questi decenni e i prossimi si configurano sempre più come un era nella quale la governance delle popolazioni – che ha sostituito il governo democratico degli stati amministrando i flussi delle risorse invece di sviluppare una politica per i loro cittadini – si attua sempre più per via digitale – algoritmica – dando vita a società del controllo che si configurano mimeticamente come sistemi di sorveglianza e tracciamento diffusi e capillari. 



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"Autodeterminazione è il modo in cui comunità non soggiogate determinano sistemi e tempi della propria esistenza in relazione ai luoghi che abitano.

Autogoverno è il modo in cui in questi luoghi queste comunità amministrano la propria esistenza. 
Autodeterminazione ed autogoverno sono possibili solo con la costruzione dell’indipendenza politica."(dal web sito ANTUDO)

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Abitare la terra e risconoscersi nei luoghi
"[...la comunità che lo abita, le forme dell’identità e delle differenze, il suo profilo singolare, la sua sostanza di memoria e di dialogo, l’ineliminabile responsabilità delle scelte
conservative e progettuali, l’aspirazione alla giustizia, all’armonia, alle qualità di vita."(Luisa Bonesio ) 

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[...]soggetto errante, un “camminatore” (wandersmann).
infaticabile nomadismo. Perniciosa la  realtà retta da statuti , canoni, protocolli, vincolo di mandato,  dogmi,ideologia chiusa e conchiusa. Nel buon brodo della secolarizzazione occorre far proprio  l'apoftegma di un caro amico "‹‹Sono venuto per dividere›› (gf)

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“Negli anni a venire ci saranno solo monaci e delinquenti. E, tuttavia, non è possibile farsi semplicemente da parte, credere di potersi trar fuori dalle macerie del mondo che ci è crollato intorno. Perché il crollo ci riguarda e ci apostrofa, siamo anche noi soltanto una di quelle macerie. E dovremo imparare cautamente a usarle nel modo più giusto, senza farci notare.”
(Giorgio Agamben, Quando la casa brucia, 5 ottobre 2020, Quodlibet, Una voce)

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Massimiliano Cappello
Oggi 6 febbraio 2021 ricorrono 29 anni dalla scomparsa di padre David Maria Turoldo

«Gli ultimi momenti di una cultura politica milanese furono la mattina di gelo dei funerali delle vittime di piazza Fontana; e il pomeriggio di ghiaccio di quello di Pinelli. Pochi giorni fa, ventidue anni dopo, una grandissima folla era intorno alla bara di padre Turoldo. Brutto segno, le esequie. Lungo corso Vittorio stracolmo di folla potevi toccare con mano la fine di una forza politica (quella democratico-popolare che per quasi mezzo secolo aveva retto, ma sempre più debolmente, agli assalti della destra) e, forse, l’ancora incerto diffondersi di un impegno morale (e, per ora, pre-politico) fra giovani nuovi, silenziosi e, speriamo, implacabili».

In questo passo di Fortini (da Milano, città scomparsa?, 1992) si potrebbe riassumere un’epoca. Il senso lacerante della sconfitta dell’età delle rivoluzioni si esprime qui in tre momenti, funebri ed esemplari, sotto il basso continuo dell’atmosfera invernale che permea le sue pagine migliori. Ma che Fortini associ per contrasto i funerali degli assassinati a quelli di Turoldo la dice lunga su quell’epoca e su quella sconfitta."


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Padre Davide Maria Turoldo –  poeta, filosofo, membro dell’Ordine dei Servi di Maria, frate ribelle e sorvegliato speciale del Sant’Uffizio per quasi mezzo secolo, militante antifascista nella Milano occupata dai nazisti – fu innanzitutto un essere umano sino alla fine votato agli ultimi, alla «fraternità come unica legge», a un rifiuto della modernità (così spesso da altri ammantato di tratti reazionari, nostalgici, «evoliani») di matrice comunalistica.(Massimiliano Cappello)

la matrice comunalista (gf)...


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Quest’anno il Naadam, ovvero i giochi mongoli, si sono disputati a Ulaanbaatar poco prima delle Olimpiadi, attualmente in corso a Parigi. Una festa sportiva dalle origini ancestrali incentrata su di un unico principio: essere tutt’uno, parti di un intero. Non a caso, il titolo del Naadam di quest’anno è stato: "Unità Eterna". Tre sono le discipline che si disputano in questa giostra senza tempo: la corsa a cavallo, il tiro con l’arco e la lotta. 


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lunedì 16 settembre 2024

secondo capitolo: nei seguenti "passim vagantes" solo caos,disobbedienza , disordine,immediatezze




In memoria di Domenico, vittima due volte: di uno Stato troppo buono e troppo crudele


Di Domenico non seppi più nulla fino a quando, siamo alla fine degli anni Ottanta, non lessi sul giornale che un soldato di leva, proprio lui, aveva lasciato il proprio posto di guardia e con il fucile a tracolla si era recato in un bar per giocare al flipper. Al barista aveva solo detto che gli faceva male la testa e che era stanco. Sparerà, uccidendolo, al proprio capitano che, avvertito, si era recato nel medesimo bar per convincerlo a tornare in caserma. Poco dopo Domenico sarà ucciso a sua volta da una squadra di carabinieri che in assetto di guerra gli spareranno una raffica di pallottole.


Giuro che Domenico era un ragazzo davvero buono, mite e buono e per questo probabilmente vittima di quel feroce bullismo che nelle nostre caserme di allora non mancava e che riservava ai troppo buoni e remissivi sofferenze di ogni genere, compresa quella di costringerli a turni di guardia assidui e senza alcun rispetto per la dignità di un ragazzo che, pur soffrendo di crisi epilettiche e rassomigliando come una goccia d’acqua al giovane Antonio Ligabue, era stato ugualmente arruolato e al quale era stata negata perfino la soddisfazione di essersi conquistato, per proprio merito, la licenza di scuola media.


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dodecaedro romano romano conservato nel castello di Saalburg nell'Assia, poco distante da Bad  Homburg(Germania) 


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Quando #AlbertEinstein e #CharlieChaplin si incontrarono nel 1931, Einstein disse a Chaplin: "quello che ammiro di più della tua arte è la sua universalità. Non dici una parola, ma il mondo ti capisce."

"È vero." Rispose Chaplin, "ma tu sei ancora più da ammirare. Il mondo intero ti ammira, ma nessuno ti capisce."

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[il filosofo] " in  nessun caso confonde i suoi fini conquelli di uno Stato, né con gli scopi di un ambiente, poiché sollecita nel pensiero forze che  si  sottraggono  all’obbedienza  come  alla colpa, e riveste l’immagine di una vita al di là del bene e del male, rigorosa innocenza senza merito né colpevolezza. Il filosofo può abitare diversi ambienti, ma al modo di un eremita, di un’ombra, viandante, inquilino di pensioni ammobiliate.(G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica)

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Il biopic "Maria" di Jessica Palud, presentato al Festival del cinema di Cannes, racconta dell’aggressione subita da Maria Schneider da parte di Marlon Brando, durante la più celebre scena di "Ultimo tango a Parigi" di Bertolucci


sabato 14 settembre 2024

nei seguenti "passim vagantes" solo caos,disobbedienza e disordine,immediatezze




“La verità è che se si passa la vita a tentare di non sentire dolore e paura va a finire che non si sente più niente.”

Lorenzo Marone - La tristezza ha il sonno leggero

https://www.ibs.it/tristezza-ha-sonno-leggero-libro-lorenzo-marone/e/9788830443563


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“Nessuno che impari a pensare può tornare a obbedire come faceva prima, non per spirito ribelle, ma per l'abitudine ormai acquisita di mettere in dubbio ed esaminare ogni cosa.”

Hannah Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”


“Finiremo tutti nel Sinai!”. È questo l’incubo dei palestinesi dalla Nakba in poi.

Un incubo che torna in tutte le guerre che essi hanno subito nel corso dei decenni e, con forza ancora maggiore, nel conflitto attuale, e che si esprime anche nella cultura e nella letteratura palestinesi, come nel romanzo Il libro della scomparsa, di Ibtisam Azem (tradotto in italiano nel 2021 dall’editore Hopefulmonster), che immaginava l’improvvisa scomparsa di tutti i palestinesi da Israele, dai territori occupati, da Gaza.

Esodo forzato, sfollamento, checkpoint per rendere la mobilità impossibile, frammentazione del territorio, occupazioni di terre, sfoltimento demografico mediante bombardamenti, carestie, costruzione delle condizioni perchè scoppino epidemie e, per chi non muore, ferite capaci di invalidare per l’intera vita.

https://gliasinirivista.org/sionismo-e-colonialismo/

https://lasiepedimore.com/2024/08/05/citazione-della-settimana-il-libro-della-scomparsa-di-azem-ibtisam/comment-page-1/

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La conoscenza è potere, e per ogni livello di conoscenza, sei responsabile di come la usi.

Gary Zukav

https://www.ibs.it/danza-dei-maestri-wu-li-libro-gary-zukav/e/9788867006939


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Pierre Teilhard de Chardin


Mon calice et ma patène, ce sont les profondeurs d'une âme largement ouverte à toutes les forces qui, dans un instant, vont s'élever de tous les points du Globe et converger vers l'Esprit.

Il mio calice e la mia patena sono le profondità di un'anima ampiamente aperta a tutte le forze che, in un istante, sorgeranno da tutti i punti del Globo e convergeranno allo Spirito.

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Franco Insalaco

  · 

Tutti i discorsi sulla musica sono castelli per aria, miraggi verbali, invenzioni metaforiche a cui crediamo, ne comprendiamo il significato perché glielo attribuiamo noi, non in altro modo che linguisticamente. Jankelevitch sostiene che: La musica testimonia il fatto che l’essenziale in tutte le cose è un non so che d’inafferrabile e d’ineffabile; essa rafforza in noi la convinzione che, ecco, la cosa più importante del mondo è proprio quella che non si può dire”. Perciò, continua, si possono “scrivere libri sulla musica” solo “impiegando le astuzie della filosofia negativa”, in quanto afferrare “il mistero” che la musica ci fa “intravedere” è “una scommessa impossibile.

Vladimir Jankelevitch, La musica e l'ineffabile


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Al contrario di H.C. Andersen che complessivamente trascorse circa 10 anni della sua vita in viaggi fuori dalla madrepatria, Kierkegaard non vide mai la parte di mondo che sta più a sud di Berlino, per cui dovette ricorrere alla lettura o alla fantasia per farsi un'idea di come apparissero davvero i dolci "paesaggi" mediterranei. Si consolò col fatto che forse non era necessario partire: era sufficiente solo immaginare di essere al sud.

Nel maggio del 1837 lo studente sognatore riferisce infatti di un piccolo esperimento che si può compiere nel davanzale di casa propria:

" È curioso come si possa ottenere la tonalità blu-violetto italiana, che altrimenti non avremmo qui in Danimarca, guardando il cielo attraverso una finestra in una sera luminosa, semplicemente mettendo una candela tra sè e la finestra stessa"

(J. Garff, SAK, pag. 9 )


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In un teatro scoppiò un incendio dietro le quinte. Un clown uscì sul palcoscenico e avvisò il pubblico. Gli spettatori pensarono che si trattasse di uno scherzo e applaudirono. Il clown ripetè l’annuncio, con sempre maggior divertimento dei presenti. E’ così, immagino, che il mondo finirà distrutto: tra l’ilarità generale dei buontemponi, convinti che sia tutto un gioco.
S. Kierkegaard

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LA FORMAZIONE FILOSOFICA COME PRATICA DI SOGGETTIVAZIONE NEL CONTESTO PENITENZIARIOUna riflessione attraverso Foucault.Lucrezia Sperolini

LA FORMAZIONE FILOSOFICA COME PRATICA DI SOGGETTIVAZIONE NEL CONTESTO PENITENZIARIO Una riflessione attraverso Foucault. Lucrezia Sperolini


Ciò che gli oppressori in realtà si ripromettono è «trasformare la mentalità degli oppressi e non la situazione che li opprime»25, per dominarli meglio, adattandoli a questa situazione. A questo fine usano la concezione e la pratica dell’educazione “depositaria”, cui si aggiunge tutta un’azione sociale di carattere paternalista, in cui gli oppressi ricevono il simpatico nome di “assistiti”. Sono casi individuali, semplici “emarginati”, che stonano nella fisionomia generale della società. Questa è buona, organizzata e giusta. Gli oppressi, come casi individuali, sono la patologia della società sana, che ha bisogno, per questo, di adattarli a sé, cambiando la loro mentalità di uomini inetti e pigri(P. Freire,Pedagogia degli oppressi)

venerdì 23 febbraio 2024

La luna sulla terra di Riccardo Redivo.Un racconto dalla raccolta di Riccardo Redivo Racconti sempre meno (Robin Edizioni 2023).






Alla Terra che l’uomo calpesta

La fantasia è la facoltà di rendere plastico.
Novalis

   Infine hanno scelto me.
Una doppia vittoria dentro un’abissale sconfitta.
Vittoria perché hanno scelto me, appunto, e vittoria perché non ho una laurea, solo lavori e conferenze, scrittura e parole e, prolungamento di questa vittoria, non sono mai andato, almeno volontariamente, in TV o sul web (i filmati dei miei interventi arrivano subito dappertutto, ma non con il mio consenso). Quindi io, senza accademia, senza televisione, senza web. Ma è meno di una consolazione, è quasi il colmo di una conferma perché il mio compito è compreso dentro una sconfitta mostruosa, incredibile, sovrumana. Tutta l’arte fisica, concreta, plastica, finirà sulla Luna. Tutta. Tutte le manifestazioni artistiche che occupano spazio. Tutte. Di primo acchito mi sono messo a ridere, ma le giacche, gli occhiali, le età e quell’aria da noi possiamo tutto, abbiamo voti, soldi e potere mi hanno convinto: non scherzavano e mi avrebbero pagato quanto volevo. Piangevo per le mie due vittorie e per la più grande sconfitta dell’uomo. Spostare la propria arte, il proprio sensibile e visibile nucleo umano su un altro pianeta, apparentemente per rispettarlo, valorizzarlo, proteggerlo, in verità per disfarsene e liberare un bel po’ di spazio ad alloggi per esseri umani, è mostruoso, anche il solo pensarlo, figuriamoci il concepirlo. Le case, o meglio i dormitori che ne risulteranno saranno privi di fregi, di curve, di amore, di anima o di un seppur minimo approccio trascendentale. La traccia della propria umanità, spostata: rimarranno solo filmati, video e scansioni, ricordi subacquei di un cielo che non esisterà più, o che diventerà molto presto incomprensibile. Anche gli incunaboli, le cinquecentine, tutti i libri fino alla nostra ultima produzione libraria finiranno sulla Luna. Quegli uomini in nero, grigio e blu, in doppiopetto e senza barba, hanno detto che sospenderanno, grazie a una legge creata ad hoc, la pubblicazione di libri cartacei il primo gennaio del prossimo anno, anche qua per motivi ambientali, dicono, ma la verità è sempre quella, per dare alloggio al corpo umano, che abiterà vuoto case vuote: corpo e casa, due corpi freddi che non potranno riscaldarsi più. Magari non alla prima generazione, non alla seconda, ma alla terza, alla quarta… Venticinque miliardi di persone su questa Terra, ma che notizie, che storie, che arti si possono avere, si possono studiare, si possono fare? Niente, nulla, solo claustrofobia e sopravvivenza. E quindi via l’arte toccabile, visibile, annusabile, sfogliabile. Già non se ne sentiva la mancanza… non è vero, alcuni di noi avevano percepito una diminuzione, una riduzione collettiva dell’arte concreta, tangibile: a saper guardare, da anni non si creava nulla.


   Ho appena iniziato il lavoro e già il vuoto creato dalle rovine e dalle arti di Creta è stato rimpiazzato da un grattacielo chilometrico, un blocco unico, da costa a costa, senza soluzione di continuità. Così straniante che la parola grattacielo è sbagliata o insufficiente perché non ci sono case che possano indicare una qualche altezza, un qualche livello standard di confronto: se non c’è un riferimento, che cos’è l’alto?
Sulla Luna, invece, è tutto bello, ogni volta che ci penso e ogni volta che la vedo, piango, piango con la consapevole amarezza del privilegio che abbiamo io e la mia squadra di neanche cento persone fra esperti delle varie aree e trasportatori che mi hanno permesso di scegliere (non contando le migliaia di carcerati che sgobbano come bestie senza conoscerne il senso).
Con l’infinità di risorse e di soldi da parte di tutti i governi del pianeta (liberare chilometri quadrati significa investimento) sto realizzando una cosa impossibile che vedrà la luce nonostante la sua assurdità. All’inizio però non sapevo proprio da dove prendere questo progetto, da dove partire. Ero basito e smarrito. Poi mi sono fatto coraggio e ho scelto la via più semplice e chiara, la più semplice e chiara idea che potevo avere, almeno così ancora mi ripeto. Trasportare le varie fasi di una città, di una cultura mostrando i vari livelli di crescita, evoluzione, annientamento: non avevamo problemi di soldi e così potevo ricostruire tranquillamente uno sopra l’altro i vari periodi e anche integrarli tra loro. E ho subito capito che avrei fatto scoperte interessantissime in merito a molte civiltà concrete (così le chiamano nell’insegnarle ai ragazzi: civiltà che inquinavano e prendevano spazio, non come stavano facendo loro fondando questa nuova civiltà astratta… che in realtà mi sembra un’operazione in cui si asporta il paziente e si tiene il tumore). Non sapevo però da che civiltà, da che cultura iniziare né come circoscriverla. Poi ho trovato sia il come che il dove, ponendomi da filologo dell’arte umana. Per quanto sembri assurdo e borioso, era più o meno quello che mi si chiedeva, quello per cui ero pagato. Quindi sono partito per aree, prossimità di aree fino a conquistare tutto il mondo manufatto, tutto il mondo passato che abbia lasciato un’orma non digitale e non sonora. Sembra tanto, sembra impossibile, ma una volta progettato bene, tutto funziona, come un’operazione di chirurgia senza possibilità di emorragia o infezione. Almeno fisica. Strano no? Un’operazione fisica, concreta come la mia, che non provoca sangue né morti, è più devastante di tutte le operazioni a cuore aperto mai fatte. Perché il cuore su cui opero è chiaramente metaforico. Per fortuna non ho dovuto preoccuparmi né dei dinosauri o degli altri fossili animali, né dei resti scheletrici appartenuti ai nostri lontani fratelli, quelli che ci hanno preceduto e che non ci seguiranno. La parola d’ordine, la chiave era Arte nel suo significato più vasto, completo, il risultato tangibile di una modificazione per mano umana a fini artistici, trascendentali, di bellezza.

   Dopo aver salvato – alle volte mi dico, realisticamente, tradito – le prime opere dell’uomo quali le scritture murali (le incisioni rupestri della Valcamonica in Lombardia o le pitture rupestri di Lubang Jeriji Saléh nel Borneo o nella grotta di Chauvet in Francia…), i primi strumenti (i flauti d’osso, i tamburi di pelle…) le prime abitazioni (le molte grotte modificate in tal senso ma anche le tracce di alcune palafitte…) che alla fin fine non sono molte, pensavo di iniziare dalle popolazioni mesopotamiche, dalla mitica Mezzaluna fertile ma poi mi sono deciso per un’altra culla, Creta (quella della lineare A, dei geroglifici, della civiltà minoica) perché era una zona circoscritta che mi consentiva di fare la prima prova. Se per le precedenti opere le zone erano sparse e piccole (grotta, altipiano, parete, museo) per le successive epoche artigianali, artistiche, tecnologiche no, anzi. Per cui mi sono orientato sul piccolo, in termini relativi, per farmi le ossa e capire se la mia scelta poteva avere dei punti deboli. Ovviamente di punti deboli ne aveva, ma non così importanti da impedire il disegno generale, la teoria che avevo in mente e che oramai ha preso abbrivio e concretezza. Insomma, la parziale vulnerabilità veniva riscattata dalla quasi onnicomprensiva teoria che avevo elaborato e che, a dire il vero, era sorprendente solo per la sua realizzazione gigantesca, inumana, immorale, non per il modo; su quel punto credo non abbia inventato nulla.
Prima di iniziare ho chiesto a quelle eleganti e brutte persone come mai la Luna. Ingenuo che non sono altro! Non solo per la vicinanza al nostro bel geoide, ma perché sulla Luna – e chi ci aveva mai pensato? – ci stanno tutte le opere umane, tutte! La superficie di terra emersa in cui sono site il 98% delle opere umane è poco più di 149 milioni di kmq mentre la superficie della Luna è di quasi 38 milioni di kmq: la Luna è praticamente un quarto della Terra. Ma voi credete che tutte le superfici di terre emerse della Terra siano piene di opere d’arte, di manufatti umani? Ovviamente no! Ergo, ci sta tutto, tutto: dalle grotte di Matala al labirinto di Cnosso (per rimanere a Creta), dalla Valle dei Re (Egitto) alle Tombe dei Re (Cipro), dalle piramidi egizie a quelle azteche, dai quadri di Turner a quelli di Bacon, da… Beh, i quadri poi, assieme alle sculture e alle installazioni, riusciranno addirittura ad acquistare una maggiore visibilità: svuotando i magazzini, le cantine e le case, le opere artistiche messe da parte o sconosciute potranno venir viste, gustate, godute. È una gioia progettare nuovi grattacieli artistici, grattacieli costruiti esclusivamente per l’esposizione artistica. Mi sbizzarrisco nelle forme più complesse, simboliche. Una per tutte: le lettere dei primi sessanta versi dell’Inferno di Dante le ho rese grattacielo. E poi non c’è bisogno neanche di cessi o di uscite di emergenza. Dall’alto le città lunari saranno versi come non sono mai state quelle terrestri, arte nell’arte per chi saprà ancora leggere. È un mio vezzo, amaro, fàtico ma in qualche modo ludico. Una poesia eidetica inutile.

   Adesso sto registrando la mia voce percorrendo il labirinto, so dov’è l’uscita e dov’è l’entrata e so che il minotauro è il significato di questo uomo che ha spostato la propria produzione, da un fare vivo, attivo, a una conservazione proiettata alla dimenticanza. Un percorso che degenera dall’umanità alla bestialità, un corpo che vede con gli occhi di toro, che pensa, pur avendo due gambe, come se avesse quattro zampe.
Se avessi la possibilità trasformerei la Luna in una navicella spaziale e me ne andrei via con gli umani che conoscono il suo valore. Mettere però dei motori a questo satellite terrestre è praticamente impossibile per via delle giacche blu, grigie, piene di mostrine e bottoni e profumi che sorvegliano giorno e notte tutti noi, in ogni azione. Sono riuscito a fatica a farmi concedere questo registratore vocale giustificando che mi serviva come sistema di appunti per il trasloco dei manufatti. Avevo cercato anche di convincere uno di questi responsabili dell’Operazione Arte (nome ironico in quanto l’arte senza la presenza dell’uomo non può esistere: come la si valuta, chi la valuta, chi ne usufruisce?) dicevo, stavo cercando di convincere uno di questi responsabili potenti con profumi e bottoni a scegliere e formare alcune famiglie, almeno una cinquantina (che non sono niente a confronto degli uomini-coniglio che abitano oggi la Terra), addette al sapere concreto, plastico. Per la conservazione, o meglio per arginare una cancellazione storico-artistica nonché spirituale dell’uomo (vedere il Partenone su di uno schermo o in un ologramma non è vederlo veramente e non è come passarci in mezzo). Come, ma questo non glielo dissi, le antiche famiglie griot o le antiche scuole aediche. Mi guardò con un’espressione a punto di domanda. Gli ricordai che il mio salario poteva comprendere anche questa tipologia di spesa e allora, accettando l’incomprensione, accondiscese. Prima di lasciarmi cercò di rimediare alla brutta figura asserendo che in effetti qualcuno doveva far da guida, per fortuna non disse turistica, anche se ho il sospetto che si trattenesse, ai terrestri che avrebbero voluto vedere la Luna e che avrebbero sborsato uno sproposito, magari rinunciando a qualche centimetro della loro casa. La Terra sulla Luna, corressi a un certo punto, ma questo proprio non lo comprese. E non poteva nemmeno comprendere che se è vero che abbiamo cominciato a portare la Terra sulla Luna, nel senso che stiamo portando le cose più preziose prodotte dall’essere umano, è anche vero che abbiamo cominciato a portare la Luna sulla Terra, cioè l’aridità, il vuoto di arte e intelletto dei non esistenti lunatici. Alla fine nessuno ci guadagna, sono entrambi disastri ambientali e umani, disastri etici, spirituali. Noi, famiglie privilegiate perché acculturate o consapevoli, potremo vedere meglio l’anima dell’uomo che scoprirà qualcosa di sé che sulla Terra non riusciva a capire; perché i propri tasselli erano sparsi e per la maggior parte dei terrestri di difficile lettura, di ardua comprensione. È meno di una consolazione, ma me lo ripeterò fino alla fine. Non avrei senso altrimenti.

   Una cosa meno assurda, pure questa disumana e ufficialmente ancora illegale, è che i carcerati, a conclusione del lavoro, verranno mandati sui satelliti medicei in base alla pena comminata loro: i caldi vulcani di Io, i ghiacci di Europa, le rocce e i ghiacci di Callisto e Ganimede distingueranno diversi livelli di pena, ma indipendentemente dal tipo di reato commesso (e di questo la Terra-Minosse se ne fotte letteralmente). Inoltre, e qua dovrò terminare la registrazione per completare il labirinto, siccome sulla Luna siamo in pochi e la libertà di movimento e ascolto è concessa, tollerata, insomma più facile, ho potuto sentire uno di questi signori dire a un altro che il progetto di esportazione della flora terrestre su di un pianeta di cui non ho potuto raccogliere il nome avrebbe potuto iniziare a breve: una volta convinti i vari governi, quel pianeta sarà usato sia per la conservazione che per la coltivazione… cibo per la Terra! E la stessa cosa, ha continuato il doppiopetto, bisognerà fare con la fauna della Terra, ma c’erano ancora alcuni problemi da risolvere, in primis convincere i fanatici (e abbienti!) proprietari di animali domestici a privarsi di quelle creature ruba spazio e ruba cibo e ruba loro stessi.
Un’ultima cosa, che devo aver già detto ma che vale la pena ripetere (e ora che ci penso pena ha il doppio senso): la mia fortuna nei confronti del sapere umano mi porterà ad avere uno sguardo più distante, direi esterno, distaccato: l’uomo, sulla Luna umanizzata dalla storia dell’uomo, potrà riuscire a vedersi, potrà riuscire a vedere qualcosa di sé in un modo migliore. Come quando si discosta la tenda per far entrare pochi ma indispensabili raggi solari per comprendere la conformazione e gli ostacoli della stanza-mondo. Ma se lo capiremo solo io e quella cinquantina di famiglie che sono quasi pronte a proseguire il trasloco delle varie aree della Terra artistica, avrà qualche importanza per l’uomo? Un esperimento in-vitro che non può riprodursi, che non ha bisogno del risultato né può darlo, un vicolo consapevolmente cieco intrapreso solo per il rispetto del sentire di un’anima che l’uomo potrebbe avere? Con il sospetto viscerale che questa fantomatica, fatidica, faticosa anima possa venir (anche lei!) relegata lontano dal corpo, magari in un pianeta che l’uomo non ha mai calcato…
E così, la fantasia andrà via dalla Terra.


Riccardo Redivo (1978) è figlio di librai storici di Trieste, città in cui vive e lavora. Si è laureato in Lettere e Filosofia e dal 2010 collabora con il mensile di ecologia e cultura Konrad, di cui attualmente è il direttore. È pubblicista e ha scritto testi per canzoni, teatro e burattini. Tra le sue pubblicazioni: La letteratura morale. Piccolo saggio su due libri di Boris Pahor, Asterios Edizioni (2008); Alda Merini. Dall’orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009), Asterios Editore (2009); Doppio canto. La poesia cantata della letteratura italiana. Analisi e inventario delle musicazioni. 1900-2012, Metauro Edizioni (2012); la raccolta di poesie Uvala, Sillabe di Sale Editore (2017); il romanzo Era un appassionato di arcobaleni, Il Seme Bianco editore (2018); la curatela meriniana Confusione di stelle, Einaudi (2019); il romanzo Mismas, Sensibili alle foglie (2020) e il contributo “La trasformazione dell’endecasillabo nelle musicazioni pop italiane” in Paolo Bravi, Teresa Proto, L’endecasillabo cantato. Dalla metrica alla voce, Nota edizioni (2022).